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TESTO Commento su Luca 3,10-18

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III Domenica di Avvento (Anno C) - Gaudete (17/12/2006)

Vangelo: Lc 3,10-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 10le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». 11Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». 12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».

15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

"Gioisci, figlia di Sion, esulta Israele,
e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!".

È un vero inno alla gioia quello che il profeta Sofonia proclama in un tempo drammatico per Israele. Non un canto consolatorio, né un invito alla rassegnazione. Il messaggio profetico è chiaro: "Gioisci... esulta... rallegrati...!". Ci sono, per i singoli e per i popoli, giorni difficili in cui l'alleanza con il Signore sembra perdere il vigore iniziale, in cui la disperazione prende il posto della speranza, il rigore etico si degrada a poco a poco nella miseria morale. Sono i giorni – e quelli che noi oggi stiamo vivendo paiono tali – in cui la gioia viene esiliata dalla nostra vita non solo personale, ma anche sociale ed ecclesiale.

Eppure, proprio in questi tempi in cui il cammino si fa pesante e faticoso, in cui non si intravedono orizzonti di luce, la gioia vera, interiore, profondamente diversa dall'allegria smodata e forzata, è possibile. Essa non rimuove i problemi e i drammi dell'esistenza umana, ma li assume in una dimensione più profonda, li orienta ad un senso. Per fare ciò, la gioia diventa atteggiamento di tutta la persona, capacità di cogliere nelle piccole cose, nell'incontro con gli amici e con i parenti, nello scambio fraterno di esperienze e di emozioni, nei momenti conviviali, anche solo piccoli frammenti di felicità.

Ben sintetizza questo concetto Dietrich Bonhoeffer quando, dalla sua cella del campo di sterminio di Flossemburg, in attesa di essere impiccato, non perde la dimensione esistenziale della gioia, un'idea teologicamente a lui molto cara, e collega l'amore delle realtà terrestri con l'eternità affermando che solo chi ama la terra desidera che essa sia eterna. All'amico Eberhard Bethge scrive: "Solo quando si ama a tal punto la vita e la terra, che sembra che con essa tutto sia perduto e finito, si può credere alla risurrezione dei morti e a un mondo nuovo" (Resistenza e resa, Milano 1998, p.225). Si addicono a questa lettura positiva dell'esistenza umana (ma conquistata a quale prezzo di sofferenze...) le parole che Paolo scrive ai cristiani della comunità di Filippi: "Rallegratevi nel Signore, sempre: ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino". Quando si vive la gioia non si è litigiosi, le polemiche sterili tacciono. E tacciono anche le armi, perché ogni guerra è frutto di un pessimismo radicale sugli esiti di una storia che il Signore ha già salvato: un pessimismo assai diffuso, però, anche tra chi si proclama cristiano.

La coppia deve imparare questo tranquillo atteggiamento dell'animo, frutto di una serena gratitudine per le opere belle che il Signore ha compiuto. Sì, il Signore ci è vicino in ogni istante della nostra vita, e in particolare nei momenti più problematici in cui avvertiamo il turbamento profondo per la distanza che passa tra i nostri ideali di vita e gli atteggiamenti che assumiamo nella concretezza della nostra esperienza quotidiana. Il Signore è vicino e ci chiama alla gioia. Una gioia che nasce e permane nell'incontro tra due persone che si vogliono bene e che, per il fatto stesso di amarsi, manifestano la presenza di Dio; si consolida nella relazione che essi instaurano e che diventa paradigma di ogni relazione sociale ed ecclesiale; diventa feconda nell'esperienza reciproca dell'amore: la gioia di amare e la gioia d'essere amati. La gioia degli sposi, di due persone che si amano, negli accadimenti spesso anche difficili della vita quotidiana, sicuramente anche attraverso momenti di crisi e di aridità dei sentimenti, resta il segno di quella gioia pasquale che percorre tutta la creazione, una creazione liberata e salvata per sempre.

Questo è l'atteggiamento che ci è richiesto come singoli, come coppia, come comunità di credenti. È questa gioia interiore profonda, che nasce dalla certezza della salvezza, che ci fa intravedere orizzonti di speranza, e che ci consente di cogliere la profondità della rude proposta indirizzata – nell'odierno Evangelo di Luca – da Giovanni il Battista ai suoi seguaci: "Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto... Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno...". Come fare a gioire quando sappiamo che altri soffrono e sono in difficoltà? Che sono vittime di ingiustizie, di discriminazioni, di vessazioni? Che hanno subìto dei torti che noi, forse anche involontariamente, abbiamo inflitto loro? Se non vogliamo che la nostra vita di fede si allinei su atteggiamenti farisiaici, non è sufficiente aderire ad un corpo di valori e di verità, occorre una prassi quotidiana di giustizia, di condivisione, di riparazione. Solo in questo caso potremo ripetere con Isaia: "Lo Spirito del Signore è su di me, mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri...".

È la buona notizia dell'Evangelo la fonte della nostra gioia. Sapere che Dio è la nostra salvezza, che da Lui siamo accolti, che in Lui è possible confidare, e non temere mai...

...perché mia forza e mio canto è il Signore (Isaia 12,2).

Traccia per la revisione di vita

• Il mondo in cui viviamo è un mondo felice? In esso noi trasmettiamo gioia o disperazione?

• Il nostro atteggiamento di fidanzati o di sposi trasmette gioia di vivere o stanchezza?

• La nostra esperienza religiosa trasmette un senso di apertura e di gratitudine o di chiusura?

• La nostra Chiesa, la nostra comunità cristiana, conserva ancora quel cuore umile e povero per saper sorridere, come Sara che aveva il seno avvizzito ma il cuore giovane?

• Sappiamo portare in questa nostra comunità cristiana il modello sponsale paritario e gioioso del rapporto reciproco, oppure accettiamo il modello autoritario, fondamentalista, clericale e pessimista?

Commento a cura di Luigi Ghia

 

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