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TESTO Uomini smarriti cercati da un Pastore che ancora li ama

Paolo Curtaz  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (16/09/2001)

Vangelo: Lc 15,1-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Forma breve (Lc 15, 1-10):

In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Che settimana dura, che settimana tragica. Può la Parola in qualche modo illuminare ciò che sta accadendo? O non dobbiamo ­ piuttosto - far finta di nulla, tirare diritto, pensare che il mondo fuori è malvagio e consolarci con qualche bella esortazione spirituale?

No, certo: nella logica del Dio dell'incarnazione non possiamo ignorare le tragiche immagini di queste ore, l'America ferita nel cuore, l'odio devastante e irrazionale che diventa follia omicida; non è questo il luogo per fare analisi, per cercare responsabilità, per capire le ragioni dell'una e dell'altra parte. Anche noi, come il vecchio Papa piegato dalla malattia, non possiamo che sospirare col salmo: "il cuore dell'uomo è un abisso".

Martedì scorso, nel pomeriggio, mi trovavo a Gerusalemme con un gruppo di pellegrini, giornata conclusivo di una splendida esperienza di ritiro e fede. Usciti dal Litostroto, ciò che resta della fortezza Antonia, diretti al Santo Sepolcro, ho visto uno spettacolo che mai avrei voluto vedere: tutto il quartiere arabo della città vecchia era in fibrillazione per le notizie che giungevano dalle radio accese ad alto volume e la gioia (tragica, inaudita) di una vendetta consumata si leggeva negli occhi, segno della profonda frustrazione di un popolo e dell'insensatezza dell'odio covato da anni sotto la cenere. Giunti al sepolcro, tesi come vi lascio immaginare, ci siamo inginocchiati davanti alla tomba vuota col cuore pieno di sconforto.

Cambierà mai l'uomo? Imparerà mai l'amore? Sarà mai capace a non farsi idoli? Non viene voglia di arrendersi?

Un po' come la presenza cristiana a Gerusalemme: mite e sconfitta, vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro, eppure piena di speranza come solo san Francesco ha saputo fare.

Sì, lo confesso. davanti alle immagini del satellite che svelavano l'immensa tragedia ho pensato alla sconfitta di Dio.

La fede cristiana è questo paradosso: noi crediamo ad un Dio che ha perso. All'apparenza.

Noi vediamo sgomenti la sconfitta dell'uomo che crede di far piacere a Dio (quale? Allah il misericordioso? Andiamo!) uccidendo con ferocia. Questa terra insanguinata, una terra per due popoli e tre religioni come profetizzano inutilmente i cristiani quaggiù, è la sintesi di tutti i misteri dell'uomo che fatica a crescere. Anche noi siamo come il popolo d'Israele tentato dagli idoli di ogni epoca: potere, denaro, arroganza.

Eppure Dio non accetta la sconfitta, non crede che l'uomo sia irrecuperabile. Come un pastore cerca la pecora smarrita (fuggita?) e ­ invece di bastonarla arrabbiato per il tempo perso e la fatica - se la carica sulle spalle.

La misericordia, amici, solo la misericordia ci potrà salvare: io credo che il volto sereno di Dio, benevolo tanto da apparire impotente, può convertire il cuore malato dell'uomo. E voglio diventare misericordioso e mansueto perché per un cristiano il nemico non è fuori ma dentro ciascuno di noi. Paolo, rileggendo la sua vita, si accorge di essere passato dal fanatismo religioso (in nome di Dio, anche lui!) all'incontro con la tenerezza infinita di Dio.

Ecco, questo so: l'uomo non è perduto, Dio è misericordia infinita, tenerezza sconfinata. Ora, seduto davanti al sole che accarezza le mie montagne, nel freddo ormai pungente dell'autunno in quota, mi dico che voglio essere discepolo di questo Dio mansueto che cerca la pecora perduta, che voglio consacrare la mia vita alla tolleranza e alla pace, che scelgo da ora e per sempre ­ ancora ­ l'arrendevolezza e la comprensione che ogni giorno posso celebrare e costruire.

E penso al sole che infiamma le bianche pietre di Gerusalemme e non posso non pregare per il popolo Palestinese arrabbiato, condividere la paura dei fratelli ebrei, chiedendo ad entrambi e a me di smettere di adorare gli idoli (dal profitto americano allo stato per Israele, alla terra per i palestinesi). Intanto Dio piange, ancora.

Ma lì, al santo Sepolcro, una tomba vecchia di duemila anni ci dice che la morte non è riuscita a fermare Dio. E la speranza.

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