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TESTO Commento su Luca 21,25-28.34-36

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I Domenica di Avvento (Anno C) (03/12/2006)

Vangelo: Lc 21,25-28.34-36 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 25Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. 27Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. 28Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

34State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; 35come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. 36Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Nella vita il cristiano non può mai essere uno scoraggiato, perché il tempo di questa vita terrena è "tempo di attesa". Colui che aspettiamo, il Salvatore, è già venuto nel suo Natale, ma l'aspettiamo ancora perché verrà un giorno proprio per noi.

Con questa domenica, prima di Avvento, ha inizio l'anno liturgico, l'anno della Chiesa, che ripercorre ogni volta le tappe principali della vita del Signore: dalla nascita, alla morte e alla risurrezione. Di particolare suggestione è questo tempo di Avvento nel quale, per quattro domeniche, ci prepariamo al Natale. Il Vangelo ci suggerisce gli atteggiamenti che devono aiutarci a ricevere degnamente il Signore: "Alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina". Siamo invitati a non limitarci alle cose di questa terra che passano (le potenze del cielo saranno sconvolte), ma a guardare oltre, più in alto.

La nostra speranza non si alimenta con i beni di questo mondo, sono effimeri e transeunti, ma - come ci ha ricordato il Papa - con le realtà superiori, il nostro vivere in Dio. Tutto passa, tutto cambia, diceva Santa Teresa d'Avila, solo Dio rimane. Per questo possiamo sempre sperare in un avvenire migliore, poiché "passano le cose di questo mondo" e ci rimangono quelle eterne. Tuttavia, questo non è un estraniarsi dal mondo, ma il modo migliore per impegnarsi in una vita degna dei figli di Dio.

Mentre aspettiamo la venuta del Signore, il Vangelo ci avverte: "State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano la faccia di tutta la terra". La previsione non intende terrorizzare nessuno, ma soltanto metterci in guardia da un pericolo costante: quello di dimenticare il nostro fine ultimo e il nostro rapporto con Dio.

Una tentazione particolare del nostro tempo, ha ricordato il Papa è di vivere "come se Dio non esistesse". Pur lasciando stare le ubriachezze (oggi il pericolo forse maggiore è quello della droga), siamo invitati a non lasciarci vincere dalle dissipazioni e dagli affanni della vita. Quanto alle prime, la nostra società si è molto attrezzata per farci stordire e dimenticare le realtà più serie della vita. Gli affanni poi non mancano a nessuno, spesso determinati da difficoltà economiche o di salute. È quindi il caso di non lasciarci vincere da queste difficoltà, ma di attendere con fiducia il prossimo Natale.

Dal Vangelo di questa domenica - Vangelo di Luca - ci viene suggerito un atteggiamento a cui ispirare tutta la nostra vita: veglia e preghiera. "Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere e di comparire davanti al Figlio dell'uomo". La veglia è un atteggiamento di vigile attesa, per non lasciarci travolgere dalle molte occupazioni, dimenticando il fine ultimo e vero della nostra esistenza. Quanto alla preghiera, ci è necessaria perché le nostre sole forze non sono sufficienti. È in gioco la nostra fragilità, il pericolo di seguire più la nostra volontà che quella di Dio.

Per comparire davanti al Figlio dell'uomo è necessario compiere le opere di giustizia e di carità che ci sono state proposte nelle Beatitudini. Su quelle, infatti, noi saremo giudicati. Nel giudizio finale non potremo portare scuse a nostro vantaggio, poiché avremo chiare le nostre responsabilità. Siamo chiamati infatti a lasciare questo mondo migliore di come l'abbiamo trovato. È un impegno di tutti, ma specialmente di coloro che hanno il compito in terra di costruire "la civiltà dell'amore".

Commento a cura di don Carlo Caviglione

 

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