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TESTO Quell’incontro inevitabile

mons. Antonio Riboldi

Tutti i Santi (01/11/2006)

Vangelo: Mt 5,1-12a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 5,1-12

In quel tempo, 1vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

3«Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

4Beati quelli che sono nel pianto,

perché saranno consolati.

5Beati i miti,

perché avranno in eredità la terra.

6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,

perché saranno saziati.

7Beati i misericordiosi,

perché troveranno misericordia.

8Beati i puri di cuore,

perché vedranno Dio.

9Beati gli operatori di pace,

perché saranno chiamati figli di Dio.

10Beati i perseguitati per la giustizia,

perché di essi è il regno dei cieli.

11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

C'è un giorno in cui tutti, credo, siamo chiamati a interpellarci sulla verità della vita. Ed è la solennità di tutti i Santi e la Commemorazione dei Defunti.

Tutti noi abbiamo avuto vicino, amato, condividendo tanta parte della nostra vita, molti cari che ora "riposano in pace" o, meglio, hanno terminato il cammino in questa valle di lacrime; hanno recitato la loro parte sulla scena di questo mondo, ognuno a suo modo. Chi bene, chi indifferentemente, chi sbagliando. Alcuni hanno fatto il loro tragitto, facendo della vita un continuo "andare verso Dio" e quindi la felicità eterna, l'amore senza fine; altri, speriamo non noi, carissimi, inseguendo sogni che non conoscono l'eternità e si sono spenti il giorno del "ritorno a Casa".

Ma la vita, dono del Padre, non ammette sbagli. Ci lascia la libertà di scelta, ma non toglie la responsabilità delle scelte.

Che si voglia o no, si creda o no, rimane la certezza di un giorno, "il nostro più importante giorno", che mette fine al giorno di questa terra, per aprirsi al giorno senza sera, che è la morte.

E nella solennità di tutti i santi, come nella commemorazione dei defunti, tutti per un momento cerchiamo di ricordare, o ancora meglio rivivere i momenti di una vita vissuta insieme. Un amore partecipato qui sulla terra e che sentiamo, profondamente, non può essere finito, ma che attende solo di trovarci insieme.

Ce lo descrive molto bene l'Apostolo Giovanni nell'Apocalisse: "Vidi ancora una grande folla di persone di ogni nazione, popolo, tribù e lingua che nessuno riusciva a contare. Stavano di fronte al trono dell'Agnello, vestite di bianche vesti e tenendo in mano la palma, gridando a gran voce: La salvezza appartiene al nostro Dio, a Lui che siede sul trono, e all'Agnello...Chi sono queste persone vestite di bianco e da dove vengono?...Sono quelli, rispose il Signore, che vengono dalla grande persecuzione. Hanno lavato le loro tuniche, purificandole con il Sangue dell'Agnello...Non avranno più né fame, né sete, né soffriranno il sole e l'arsura. L'Agnello che è in mezzo al trono, avrà cura di loro come. un pastore ha Cura delle pecore...Dio scioglierà ogni lacrima dai loro occhi" (Ap. 7,9-16).

E' la moltitudine dei Santi e tra loro forse ci sono i nostri cari. O forse attendono il momento di farne parte. Per questo onoriamo la loro memoria, orniamo le loro tombe, come a voler offrire un fiore e dire "Vi voglio sempre bene e.,.aspettatemi". Il rischio è che non andiamo oltre e ci fermiamo ad esteriorità che servono a noi e non a loro. I nostri cari defunti attendono suffragi ed elemosine, come è nella Sacra Scrittura e come tanti usano fare quando qualche parente torna a Dio.

"Non portate fiori- trovo scritto spesso in occasione della morte dei nostri cari - ma offrite elemosine per i poveri". E un suffragio di grande efficacia è certamente ricordarli spesso offrendo il sacrificio della S. Messa. Ma ce ne ricordiamo ancora?

Quando Dio chiamò vicino a sé il grande e amato Papa Giovanni Paolo II, assistemmo non solo al dolore di tutta l'umanità, ma rimase indelebile quella marea di gente, che voleva vedere almeno la tomba, toccarla come a dare una carezza e pare di sentire le sue ultime parole rivolte ai giovani: "Vi ho atteso tanto e siete venuti: grazie!" E la gente gridò, come a ricordare che la sua morte era un ingresso trionfale in Cielo: "Subito santo". E lo è.

Davanti a quel santo dei nostri giorni, tanti, ma tanti, hanno vissuto o desiderato il Cielo: un cielo che si raggiunge con la santità. E credo che Giovanni Paolo II sempre ci ripete dalla "finestra del Cielo", come disse il Santo Padre nel giorno del funerale: "Vi attendo con ansia, grazie che venite".

E proprio davanti a questi santi, che non hanno paura della morte, perché è il giorno della gloria, cadono come foglie morte tutte le stupide illusioni o cattive interpretazioni della bellezza della vita, e si affaccia la verità della nostra sola vocazione al Cielo.

Gesù volle ricordarci "questo giorno" con la parabola delle 10 vergini, che erano andate incontro allo Sposo, che dovevano attendere per poi seguirLo e entrare con Lui alla grande festa delle nozze.

Ma dice il Vangelo, cinque di esse erano stolte ed erano partite senza portare la scorta dell'olio necessaria per l'attesa: cinque sagge, invece, lo avevano portato. Tardando a venire lo Sposo, si assopirono Poi d'improvviso un grido: "Viene lo sposo". Le stolte non poterono seguire lo Sposo, perché si trovarono sprovviste dell'olio per le lampade; le sagge invece subito seguirono lo Sposo ed entrarono alla grande festa con Lui. Giunsero con ritardo le stolte: bussarono alla porta, ma si sentirono rispondere "Non vi conosco".

Viene da chiedersi oggi: noi viviamo la vita come una "attesa della festa con lo Sposo", ossia da saggi o siamo stolti?

Non vorrei augurare a nessuno, ma proprio a nessuno, di sentirsi dire quel giorno "Non vi conosco". Ma occorre che la vita sia una veglia in attesa dello Sposo.

Tutti sappiamo come don Tonino Bello visse una terribile veglia, marcata da una sofferenza che lui stesso descrive: "E' una lotta difficile. Ma non mi spaventa. L'uomo è impegnato ogni giorno sul fronte della sopravvivenza ed è costretto dalla sua natura a combattere per sé contro se stesso. Non sono un eroe e sono consapevole del mio destino. Rispetto la morte, ma non la temo. Il dolore invece mi fa paura. Non riesco ad abituarmi, forse perché è sempre più violento. Tuttavia anche questa esperienza insegna: la sofferenza mi pone in sintonia con l'umana sofferenza della quale ho parlato tante volte in modo accademico".

E a Pasqua, dalla croce del suo dolore, così salutò i suoi fedeli: "Vi benedico da un altare scomodo, ma carico di grazia. Vi benedico da un altare coperto da penombre, ma carico di luce. Vi benedico da un altare circondato da silenzi, ma risonante di voci. Sono le grazie, le luci, le voci del mondo, dei cieli e delle terre nuove che, con la Resurrezione, irrompono nel nostro vecchio mondo e lo chiamano a tornare giovane. Vi abbraccio con tanto affetto".

Che meravigliosa "attesa" dell'incontro con Dio! Era tanto mio amico don Tonino. Con lui condividevo gioie e sofferenze e a volte stando con lui ci comunicavamo la bellezza della santità, che si costruiva con l'essere vescovi "insieme". Ora so che, con tantissimi altri, dal cielo ci ama e mi attende. Non resta che augurarmi che tutti noi, per l'amicizia che ci unisce, per il cammino verso il Cielo che insieme facciamo, possiamo vivere "saggiamente" per entrare alle nozze con lo Sposo.

 

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