TESTO Commento su Marco 9,30-37
XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (24/09/2006)
Vangelo: Mc 9,30-37

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Il criterio con il quale giudicare la grandezza umana è
completamente diverso nel Vangelo. Non si guarda alla potenza ma
al servizio, alla capacità non di dominare ma di accogliere gli
altri, considerandoli una presenza viva e attuale del Signore.
Lo uccideranno. Gesù parla chiaramente ai discepoli, senza
reticenze, della sua passione: "Il Figlio dell'uomo sta per
essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma
una volta ucciso, il terzo giorno risusciterà". Ai discepoli il
discorso è quasi incomprensibile, quando Gesù aggiunge che
"risusciterà". "Non comprendevano quelle parole e avevano timore
di chiedergli spiegazioni".
Quel genere di incomprensione non è ancora cessata. Molti si
chiedono che bisogno c'era di una morte così cruenta per salvare
il genere umano. Non era sufficiente un gesto o una parola di
Dio onnipotente? Perché chiedere al Figlio la morte in croce? La
risposta definitiva sarà sempre un mistero. Gesù ha parlato
della sua morte come una prova di amore: "Dio ha tanto amato il
mondo da dare il suo unico Figlio, affinché chiunque crede in
lui non muoia ma abbia la vita eterna". L'amore di Dio ha scelto
questa strada e chiede anche a noi di percorrerla poiché alla
croce segue la gloria e la risurrezione.
Il più grande. Mentre Gesù parlava, una discussione era sorta
tra i discepoli, per sapere chi tra loro fosse "il più grande".
Quale il criterio per stabilire la loro grandezza? Pensavano
forse a una gerarchia di potenza e di prestigio, come accade
ancora oggi. Gesù interviene nella discussione e propone un
diverso criterio di valutazione: "Se uno vuol essere il primo,
sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti". L'autorità non è
costituita per dominare gli altri, ma per servirli.
È venuto da questo principio il termine "ministro", uno che deve
essere servitore degli altri. Ministro per servire, non per
essere servito. È un criterio che deve ispirare anzitutto chi
nella Chiesa è chiamato a ministeri più alti, ma dovrebbe anche
riguardare chi è costituito in autorità nella società civile.
Non andare alla caccia di incarichi prestigiosi per il proprio
interesse, ma per servire il bene comune, specialmente con
particolare attenzione a chi ha più bisogno di aiuto e di
sostegno.
Un bambino. Nel suo insegnamento, Gesù vuole essere molto
concreto: "Preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo
disse loro: Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome,
accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi
ha mandato".
La comunità cristiana ha accolto da subito questo insegnamento
ed ancora oggi lotta per la difesa di ogni bambino, sin dal suo
concepimento nel seno materno. La Chiesa è praticamente rimasta
sola nel rispettare e far rispettare la vita del nascituro.
D'altra parte continua a dare testimonianza, in ogni parte del
mondo, di quanto abbia cura dei bambini, di quelli più
abbandonati.
Ogni cristiano è chiamato a vedere nel bambino la presenza
stessa di Dio, che gli ha dato la vita. Il bambino poi per la
sua innocenza e disponibilità, per la fiducia che ha nei suoi
genitori, diventa modello del discepolo. Ogni credente è
chiamato a vivere nello stesso atteggiamento di spirito da
adulto, consapevole che ci si deve abbandonare senza riserve e
con fiducia nelle braccia del Padre, per fare sempre la sua
volontà.
Commento a cura di don Carlo Caviglione