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TESTO Lo spirito della vera leadership

padre Gian Franco Scarpitta  

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XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (24/09/2006)

Vangelo: Mc 9,30-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 9,30-37

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Mi sono ricordato dei contenuti di questa liturgia la scorsa estate, quando mi imbarcai sulla nave diretta in Sicilia. Per ingannare il tempo in attesa della partenza, dal ponte superiore dell'imbarcazione osservavo tutte le auto, i camion, i possenti autotreni e gli autosnodati mentre uno alla volta facevano ingresso nell'ampio garage sottostante nel quale avrebbero dovuto viaggiare durante la traversata del Tirreno. Quando vidi entrare l'ultimo motocarro pensai che, se quello era stato l'ultimo a fare ingresso dopo una lunga coda interminabile, il mattino seguente sarebbe stato il primo ad uscire; come pure il mezzo che era entrato per primo nella nave, avrebbe dovuto attendere forse anche delle ore prima di guadagnare l'uscita con conseguenti disagi per il suo autista.

Si tratta di una mera analogia, eppure suggerisce una riflessione sulla vanità del falso orgoglio umano e sull'assurdità dell'arrivismo e della corsa al successo e alle ricche affermazioni: molte volte da parte nostra si coltiva l'ambizione ai livelli più elevati in campo professionale, si brama la posizione migliore che permetta di ergerci sulla massa o di esercitare un dominio sugli altri incontrastato e ci si compiace all'idea di poter raggiungere delle posizioni per le quali gli altri stanno ai tuoi piedi o dipendano da te per ogni cosa.

La vanità delle presunzioni e delle ascese al potere e al successo, che purtroppo interessa la nostra epoca in tutte le stratificazioni e tocca tutte le categorie del sociale compresa (inutile nasconderlo) la gerarchia ecclesiastica con tutti quei titoli e quelle pomposità prelatizie, non può che rivelarsi assurda, vana e illusoria e non può che concludersi esattamente come il destino della prima automobile che entra nella nave per uscirne ultima, soprattutto per il fatto che quanti ambiscono le posizioni altolocate molte volte ignorano di voler accedere ad incarichi delicati di grossa responsabilità per i quali si richiede immolazione, sacrificio, fatica e soprattutto previa predisposizione al servizio. Sì, perché in realtà quanto più grandi ed elevati sono i gradi del potere tanto più questi richiedono che ci si sacrifichi per gli altri, soprattutto per la collettività quando si tratti di agire in vista del bene comune. Essere a capo di qualcosa vuol dire infatti averne la responsabilità diretta e rispondere di ogni sgarro eventualmente compiuto oltre che godere di possibili benemerenze e di riverenze nel prestigio; quanto più hai affidato un ruolo di alta posizione tanto più sarai chiamato al servizio e alla disponibilità verso gli altri.

Ne deriva pertanto che proprio le posizioni da noi solitamente ambite come prestigiose sono quelle che richiedono molta predisposizione all'umiltà e allo spirito di servizio e di dedizione agli altri.

Mentre tutti strabiliavano di stupore e di delusione la sera del 19 Aprile del 2005 vedendo comparire nell'arengario di Piazza San Pietro la figura di Papa Ratzinger (questa la mia impressione), personalmente osservavo come nelle parole di chi fino allora era stato un innocuo Cardinale studioso vi fosse molta trepidazione, smarrimento e timore per essere quasi costretto a "lavorare umilmente nella vigna del Signore", ritenendo quello un compito "inaudito", al di sopra delle proprie forze. E in effetti nel nuovo Pontefice più che il rigonfio di altezzosità per la posizione raggiunta di guida suprema della Chiesa vi era la preoccupazione sgomenta per un ruolo che avrebbe dovuto espletare non senza difficoltà e per il quale si doveva rendere conto all'intera comunità cristiana, per il quale non si reputava all'altezza e per questo si affidava alle nostre preghiere. Proprio chi è animato da questi sentimenti di umiltà nel ricoprire una missione prima o poi si mostra in grado di operare le cose più grandi.

Il fatto è che noi non ci siamo convinti di quella che sia la vera leadership e delle caratteristiche che fondamentalmente la costituiscono, che in modo concreto vengono riferite nella pagina evangelica di questa Domenica con l'aggiunta della pedagogia e dell'esempio singolare offerti dalla persona del Redentore: "Se uno vuol essere il primo sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti", appunto perché non sarà mai in grado di comandare con efficacia chi non sarà stato in grado di servire e di cimentarsi per gli altri.

Lo stesso Cristo ha esercitato un'autorità spiccata sugli apostoli e sui discepoli ai quali doveva impartire ordini e direttive di ministero in vista del Regno, tuttavia nessuno può smentire che lo abbia fatto non prima di aver mostrato egli stesso di essere "in mezzo a loro come colui che serve", attraverso il famosissimo esempio della lavanda dei piedi agli apostoli che concretizza l'amore e la spontaneità del donarsi; la sollecitudine nell'operare guarigioni, esorcismi, resurrezioni; la franchezza nel regalare un sorriso accompagnato da sguardi intensi ed eloquenti e la premura di mettersi all'ascolto di quanti altri rifiutavano e consideravano reietti. Anzi, proprio nella dimensione dell'amore e della donazione di sé egli mostrava autorità, la stessa che proviene dal Padre.

Ma lo spirito della vera leadership di Gesù deve essere riscontrato in quello che egli aveva detto poco prima agli stessi interlocutori prima di entrare a Cafarnao: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà", ossia l'oblazione generosa di se stesso nell'offrire le sue membra stremanti nella croce che compendia la vera pedagogia dell'amore come sacrificio che caratterizza la vera autorità.

Piuttosto che ambizioni e arrivismo, dovrebbe essere pertanto nostra preoccupazione primaria essere disposti ad amare e a servire, anche di fronte alla sfida delle immancabili derisioni e delle cattiverie che senza dubbio tenteranno di muoverci coloro che sono convinti dell'esatto contrario e che sono previste già dal libro della Sapienza in quel determinato passo in cui ci si mette in guardia da chi "tende insidie al giusto", tendendogli la trappola fatidica che lo porterà a cadere nella rete e nel pericolo di non perseverare in tal senso.

Assolutamente no! Certo, chi si dispone per gli altri non potrà non subire illazioni, pregiudizi e la malizia degli invidiosi e degli spacconi, ma proprio quella circostanza dovrà incoraggiarlo nella certezza che sta procedendo per il verso giusto.

 

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