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TESTO Commento su Luca 16, 9-15

padre Lino Pedron  

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Sabato della XXXI settimana del Tempo Ordinario (Anno I) (08/11/2003)

Vangelo: Lc 16,9-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Il brano precedente ha parlato dell'amministrazione dei beni materiali. Ma non ci sono solo i beni materiali; ci sono altre ricchezze, altri beni, quelli dello spirito, che richiedono maggiore diligenza, coerenza e lealtà. Le ricchezze terrene non sono il dono supremo che Dio ci affida. Anzi, sono il "più piccolo" (v.10). Il dono "più grande" sono le realtà future, la partecipazione al regno di Dio, la vita eterna. Dio dona i futuri beni celesti soltanto a colui che sa amministrare fedelmente, secondo la volontà del Padre, i beni terreni. L'infedeltà nell'amministrazione o nell'uso dei beni materiali porta ad essere infedeli anche nell'amministrare i beni dello spirito, i beni della propria salvezza.

Sembra che i ricchi con i loro averi e i loro denari siano liberi; in realtà sono sottoposti ad un tiranno esoso e spietato, mammona, che significa "ciò che si possiede". La loro condizione è quella degli schiavi. Chi cade sotto il dominio di mammona, perde l'amicizia con Dio. L'opposizione tra Dio e mammona è irriducibile. Il nemico più grande del "capitale", quando va a profitto solo di alcuni e lascia gli altri nella miseria, è Dio stesso. Egli vuole una comunità di uomini uguali, amici, fratelli.

Dio esige di essere amato con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la forza e con tutta la mente (cfr Lc 10,27). Ma, come l'esperienza insegna, anche mammona, che è la sete sfrenata del possesso, s'impadronisce completamente dell'uomo e diventa il suo Dio.

Le parole di Gesù fanno riflettere, destano una sana inquietudine interiore e ci tolgono ogni possibilità di accettare la beatitudine fatua delle ricchezze. Nel desiderio delle ricchezze si nasconde il pericolo che esse tolgano all'uomo la libertà di seguire la voce di Dio che lo chiama: "I semi caduti in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione" (Lc 8,14).

Ciò che Gesù insegna in questo brano di vangelo trova eco nella prima lettera a Timoteo: "Quelli che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell'inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. L'avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti... A quelli che sono ricchi in questo mondo ordina di non essere orgogliosi, di non porre la speranza nell'instabilità delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza, perché possiamo goderne. Facciano del bene, si arricchiscano di opere buone, siano pronti a dare e a condividere: così si metteranno da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera" (1Tm 6, 9-10.17-18).

I farisei di tutti i tempi, che sono attaccati al denaro, ascoltando queste cose, deridono Gesù. Le sue parole sono stolte e pazze, parole di uno che è fuori dal mondo. A questo riso beffardo di autosufficienza risponde Gesù con il suo lamento: "Ahimè per voi, che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete (Lc 6,25). E gli fanno eco le parole di san Giacomo: "E ora a voi ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite" (Gc 5,1-2).

Ciò che conta per gli uomini, e per i farisei in particolare, è l'avere, il potere e l'apparire sempre di più. Questo è l'idolo che occupa il posto di Dio. Questa è l'ipocrisia. E sembra che l'ipocrisia sia in proporzione diretta con la posizione di prestigio che uno riesce ad acquistarsi "davanti agli uomini" (v.15). Più l'uomo si sente in alto e più accumula beni e più ricorre alla menzogna. Questo è un principio generale che ha le sue lodevoli eccezioni! Non c'è in tutto il vangelo una valutazione più pessimistica nei confronti delle gerarchie religiose e politiche, nei confronti di ciò che è esaltato fra gli uomini, perché "ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio" (v.15). L'essere posti in alto può diventare un idolo, un tentativo di sovrapporsi o di sostituirsi a Dio. Ogni autoesaltazione indebita è un tentativo idolatrico di mettersi al posto di Dio. L'orgoglio e l'idolatria sono praticamente la stessa cosa. E come Dio condanna gli idolatri, con la stessa forza respinge gli orgogliosi.

 

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