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TESTO Vogliamo stare con il Signore o vogliamo andarcene?

don Roberto Rossi  

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (27/08/2006)

Vangelo: Gv 6,60-69 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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60Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». 61Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? 62E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? 63È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. 64Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».

66Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. 67Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». 68Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna 69e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Abbiamo due brani oggi che invitano alla scelta consapevole di accogliere la parola di Dio e di seguire il Signore. Nella prima lettura la grande scelta di Giosuè e del popolo. Nel vangelo non sembra che Gesù abbia fatto qualcosa per addolcire quel linguaggio che molti dei suoi discepoli dichiaravano troppo duro. Il fatto che molti si tirino indietro e non vadano più con lui non lo preoccupa, anche se pensiamo lo addolori. Non tenta di trattenerli, non cerca un compromesso. Anzi, rincara la dose: i suoi discepoli saranno messi di fronte a «scandali» ben superiori a questo... La situazione che si presenta è del tutto delicata. L'entusiasmo della folla viene meno, la fede granitica di molti seguaci si incrina e il maestro, fin qui osannato da chi voleva addirittura farlo re, si trova solo, abbandonato, incompreso. Ci si aspetterebbe un Gesù che ha a cuore almeno il consenso dei suoi, della cerchia ristretta di coloro che lo hanno seguito fin dai primi tempi. E invece lascia anche a loro una perfetta libertà: «Volete andarvene anche voi?». Per fortuna c'è la risposta solida e fervorosa di Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Proprio nel momento in cui Gesù tocca la soglia minima di popolarità, c'è chi riconosce in lui l'Inviato di Dio e nelle sue parole uno strumento di vita, di cambiamento, di salvezza. Proprio quando la massa se ne va, la fede di alcuni si fa più solida e sicura ed esprime le ragioni di una scelta. Possiamo notare la differenza tra la serena fermezza di Gesù e le nostre paure di fronte al rischio della libertà; la differenza tra le scelte onerose, ma portatrici di vita, che Lui sa proporre e i tanti piccoli mezzi con cui noi a volte cerchiamo di far evitare alle persone, ai giovani ad esempio, ogni più piccola difficoltà e sacrificio.

In fondo questo Gesù è un Maestro esigente, che non esita a chiedere, e molto, a chi vuole seguirlo. Non è un consolatore di persone fragili, né un educatore che tiene al caldo il suo gruppo. Ci precede e ci domanda di seguirlo per una strada non facile. Domanda, ma nello stesso tempo offre, quello che nessuno può dare. Fa scegliere dimostrando fiducia nella nostra capacità di decidere bene, nella nostra libertà, nel nostro coraggio. Non si attornia di persone devote, ma di gente coraggiosa. «Volete andarvene anche voi?», chiede Gesù ai dodici.
Applichiamo a noi stessi questo vangelo e questa domanda.

Per varie domeniche abbiamo riascoltato le parole di Gesù, cercando di capirle meglio, di chiarircele, di approfondirle, di ricavarne stimoli per il nostro rapporto con Gesù Eucaristia, per la nostra messa e la nostra vita. I nostri occhi continuano a vedere soltanto pane e vino, e il nostro cervello si domanda ancora: «Come è possibile?». Anche a noi Gesù non dà spiegazioni. Anche per noi solo una domanda: «Volete andarvene anche voi?».

«Ma noi la nostra risposta di fede l'abbiamo già data, altrimenti non saremmo qui», potremmo dire. Ma è vero solo in parte. Perché la fede non è una cosa di cui si è sicuri per sempre. La fede è come l'amore: c'è, se c'è adesso, se è all'opera, se agisce. La nostra fede nel pane vivo c'è se ogni nostra messa è un atto di fede. La nostra messa è un atto di fede?

Tutti, anche noi sacerdoti che celebriamo tante messe, abbiamo bisogno di dire: «lo credo, Signore Gesù, ma tu aiuta la mia incredulità».

Se la messa è un atto di fede, non può che essere gioia, festa, gratitudine. Manifestano tutto questo le nostre messe?

Se capitassero nelle nostre celebrazioni persone che non sanno cosa stiamo facendo, avrebbero la sensazione che stiamo ricevendo un dono straordinario?

A volte, noi cristiani siamo identificati come quelli che "devono" andare a messa. E per questo siamo quasi compatiti. Molti nostri ragazzi – lo sappiamo bene - non vedono l'ora di liberarsi dalla messa. Come si è creata questa mentalità?

L'impegno a fare della messa una celebrazione calda, partecipe, gioiosa, comunitaria, anche con gesti semplici come cantare, rispondere, non stare sparpagliati per la chiesa, non masticare gomme, spegnere i telefonini... non è un optional, o il pallino di qualche prete, ma un dovere di fede e di testimomianza.

C'è molto da fare per far superare quella sensazione che la Messa sia un dovere, un peso, una penitenza. Se noi cristiani vivessimo la messa per quello che è, gli altri ci dovrebbero invidiare, non compatire.

Anche noi vogliamo dire con convinzione: Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. Tu solo...

 

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