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TESTO Solitudine

don Ricciotti Saurino  

Santissima Trinità (Anno B) (11/06/2006)

Vangelo: Mt 28,16-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 28,16-20

16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

"Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" con queste parole e con un segno di croce sul nostro corpo diamo inizio alla giornata e in essa ad ogni azione. Con le stesse parole apriamo le nostre liturgie e con esse esorcizziamo e allontaniamo tutto ciò che attenta alla nostra vita spirituale.

In questo modo entrando in Chiesa rinnoviamo la nostra fedeltà al Battesimo e agli impegni assunti quel giorno.

Se non fosse stato Gesù stesso ad aprirci al mistero di un Dio uno e trino, una tale espressione sarebbe stata un impossibile parto della nostra intelligenza e avrebbe superato i confini della fantasia.

Mistero è ciò di fronte a cui bisogna tacere.

Evitiamo di addentrarci nel dedalo di considerazioni anche per non sottoporre le nostre capacità ad uno sforzo inutile che non le permetterebbero ugualmente di arrivare a toccare il divino. Esso rimane sempre inaccessibile al nostro limite. E' come se volessimo comprimere l'infinito nella scatola cranica dell'uomo. Agostino in questo ci è maestro con l'immagine del mare trasferito in una buca.

Cerchiamo invece di scoprire che cosa questo grande mistero potrebbe dire a noi.

Innanzitutto bisogna dire che Gesù non ha mai battezzato, ha ricevuto il battesimo da Giovanni, un battesimo di penitenza, e in quella circostanza già c'è la manifestazione di tutta la comunità celeste. Eppure Giovanni stesso dirà: "Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco" (Lc.3,16). Ma Gesù non ha battezzato, perché non apparisse che era una cosa sua personale. Solo dopo il suo allontanamento, ha detto agli Apostoli di farlo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Battezzare significa immergere. Immergersi nella morte di Gesù per riemergere con Lui a vita nuova, una vita inserita nella vita di Dio. Se il battesimo è inserimento, questo avviene non nel club dei 'singles', non nella solitudine di Dio, ma nella familiarità. Il che vuol dire che Gesù non desidera una semplice appartenenza numerica, come potrebbe essere quella dei tesserati, ma indica il modo di appartenere che coinvolge mente e cuore ( Ecco mia madre e i miei fratelli; chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi mi è fratello, sorella e madre - Mt 12,50). Quell'espressione poi "In verità non vi conosco"(Mt 25,12), con la quale redarguisce le cinque vergini stolte, non vuole essere un rimprovero per il ritardo, ma per la mancanza d'amore, per non aver avvertito come una festa di famiglia la gioia dello sposo, e la superficialità ha causato il ritardo.

Il nostro Dio non è un "senza famiglia" che chiede all'uomo di tirarlo fuori dalla sua solitudine e di fargli assaporare la gioia della condivisione e del calore della parentela. E' invece una famiglia, nella quale si vive e respira l'amore reciproco, e se una proposta fa all'uomo è quella di entrare a far parte di questa ricchezza d'amore a pieno titolo.

Non per nulla Gesù aveva detto "dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro", rivelandoci che la dimensione comunitaria è importante per rendere Lui presente. Anzi Lui è presente non per far numero, ma perché vuole darci il dono della familiarità. E' la sua presenza che rannoda i vincoli precari delle nostre comunità, della nostra amicizia e della nostra famiglia.

Quante delusioni in meno si avrebbero se fossimo convinti che è Dio a creare unione. Non siamo noi con le nostre belle qualità, con il nostro volerci bene e perfino con il nostro amore a creare unità.

Ricordo le parole di un santo Vescovo al quale avevo riferito, con soddisfazione, che si era creata una comunità sacerdotale. Mi disse: se pregate insieme, va beve, altrimenti tornate ognuno a casa vostra. Aveva ragione!

Ripenso allo sforzo disumano a volte che gli sposi fanno per conservare il Sacramento del matrimonio ridotto a stentata convivenza. Meno sforzo sarebbe costato e con effetti più soddisfacenti se insieme, e non singolarmente, si fossero rivolti al Dio che li ha uniti. (L'uomo non separi ciò che Dio ha costituito in unità).

Quante comunità parrocchiali sarebbero più salde se alla base ci fosse la preghiera e non le iniziative.

Quante amicizie, fondate su simpatie e persino su motivi di fede, si infrangono perché non c'è il collante.

Abbiamo la presunzione di tenere uniti a tutti i costi vasi fragilissimi, pur non risparmiando loro continue vibrazioni ed urti.

"Meglio la solitudine?" Forse sì! Ma se decidi di stare con qualcuno, non dimenticare di farci entrare anche Lui!

 

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