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TESTO Commento su Giovanni 15,9-17

Omelie.org - autori vari  

VI Domenica di Pasqua (Anno B) (21/05/2006)

Vangelo: Gv 15,9-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

PRIMA LETTURA

Dagli Atti degli Apostoli (10,25-27.34-35.44-48)

L'incontro di Pietro con il centurione Cornelio, è una delle tappe decisive della presa di coscienza della necessità intrinseca dell'annuncio evangelico di aprirsi a tutti, compresi i pagani.

"Cornelio, andandogli incontro, si gettò ai suoi piedi per adorarlo...": Cornelio ragiona secondo le sue categorie religiose, per cui Pietro, inviato divino, è degno di onori divini. La divinità per Cornelio è ciò che è misterioso e sta in alto, ed essere religiosi significa abbassarsi. "Ma Pietro lo rialzò dicendo: "Alzati, anch'io sono un uomo!"...": si usano qui nel testo greco i verbi della risurrezione, e le parole di Pietro risuonano più o meno "risorgi, anch'io sono un uomo". Con il suo invito Pietro conduce infatti Cornelio alla fede che scaturisce dalla resurrezione: una fede che sottolinea la dignità dell'uomo, e pone tutti in un rapporto alla pari.

Ma c'è di più: anche Pietro deve cambiare, deve entrare in una nuova logica che scaturisce dal resurrezione: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone..." è proprio la nostra fede che fa scaturire rapporti umani cordiali e aperti. Dalla conoscenza di Dio dovrebbe nascere, quasi naturalmente, la simpatia, la comprensione, la cordialità a tutto ciò che è umano. Forse quindi i nostri problemi derivano da una insufficiente conoscenza di Dio? C'è poco da dubitarne, come sembra confermare il nostro testo poco sotto: "...si può proibire che siano battezzati con l'acqua...?": la forma involuta della frase fa intravedere il problema. Non fu facile per la prima Chiesa l'apertura ai pagani, il rinunciare alle proprie convinzioni di essere il "popolo eletto" in senso esclusivo e discriminatorio. Ma in ogni epoca Dio fa compiere alla sua Chiesa i suoi percorsi di conversione se si apre ad una più vera e profonda conoscenza di Lui.

Anche per noi oggi si pone un problema di apertura, di espansione missionaria, ed anche (al contrario) un problema di finta accoglienza, che svaluta l'appartenenza ecclesiale. L'incontro tra Pietro e Cornelio si conclude con il battesimo, con l'incorporazione nella Chiesa, con la partecipazione dei pagani alla comunità di salvezza. Quindi, con una crescita della Chiesa.

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di S. Giovanni apostolo (4,7-10)

Si tratta di una dei testi più densi dell'intera opera giovannea. In alcune brevi frasi sono riassunti gli elementi che costituiscono una vera rivoluzione nell'idea che gli uomini si erano fatta di Dio. Ma questa rivoluzione, apparsa in Gesù, segna anche il capovolgimento dei rapporti umani. L'amore è tutto, è Dio stesso. "L'amore è da Dio": invece noi crediamo di poter benissimo amare anche senza di lui. Dunque, non ogni amore umano è legato all'amore di Dio? "Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio": ma di quale amore si tratta? "Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore": altra affermazione fortissima, molto critica nei confronti della comunità cristiana. Ci potrebbero essere dei credenti che non hanno conosciuto Dio? Che fingono di essere dei suoi, e poi vengono meno proprio al comando della carità? Ma ancora si pone la domanda: di quale amore si tratta? "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma lui ha amato noi...": si ritorna all'affermazione di partenza: l'amore non è da noi, ma da Dio, l'amore ci precede; "... e ha mandato il suo figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati": e qui il peccato è esattamente la forza oscura che ci impedisce di amare autenticamente. Su questo amore che redime dal peccato siamo chiamati a misurare le nostre relazioni all'interno della famiglia, della Chiesa, del mondo. Da questo amore capiamo le nostre relazioni segnate dal peccato: amori possessivi, gelosi, interessati, strumentali... in questo amore che salva possiamo sempre trovare la via per rialzarci e riprendere il cammino.

VANGELO

Dal vangelo secondo Giovanni (15,9-17)

Questa domenica ci apre alla generosità nel considerare i piani di salvezza di Dio, che non si lasciano ridurre ad un popolo, ad un gruppo ad una comunità, ma si volgono a tutti gli uomini di ogni razza, popolo e lingua.

Mentre il popolo dell'Antico Testamento si sentiva chiamato da Dio ad "amare il prossimo ed odiare il nemico"; mentre gli spiriti più illuminati già al tempo di Gesù parlavano della regola aurea: "ama gli altri, come tu vuoi essere amato"; il vangelo di Giovanni propone per due volte (Gv 13,34) un comandamento nuovo: "amatevi, come Io vi ho amati".

Al centro del breve brano di vangelo rifulge dunque quello che chiamiamo: "Il comandamento dell'amore".

E' un comandamento "nuovo" non tanto nel senso che giunge inatteso o che soppianta quanto precedentemente comandato, ma perché appare come inesauribile, come superamento di ogni limitazione della generosità e del dono di sé. Come è infatti possibile "amare come Gesù" pensando di poter limitare l'amore nello spazio e nel tempo alle esigenze ed ai limiti del nostro cuore?

In questo comando di Gesù c'è tutta la carica del cristianesimo, che chiede il superamento del limite umano, la nascita di un uomo nuovo capace di radicale novità nel comportamento. Ciò non si attua però grazie ai nostri sforzi, gratificando la nostra illimitata superbia, ma arrendendosi a Dio, lasciandosi conquistare dalla potenza della Sua grazia. Il cuore di tutto sta nel riaffermare ancora una volta e con più forza che mai il protagonismo divino, che non umilia, ma anzi fonda e rafforza la grandezza dell'uomo.

Infatti "il comandamento nuovo" è possibile, secondo il pensiero giovanneo, solo partendo dall'alto: dal Padre. E' proprio il Padre che ha preso l'iniziativa in questo movimento d'amore inviando, per amore, il suo Figlio. Il Figlio ha liberamente accettato e portato questa corrente d'amore agli uomini. Solo grazie a questa corrente discendente il movimento può cominciare il percorso inverso: dall'uomo a Cristo e da Cristo al Padre. Questo circolo dell'amore e della risposta nell'ubbidienza che lo garantisce, costituisce il nucleo essenziale della fede cristiana e del vero discepolato.

Il nostro amore è sempre radicalmente responsivo e generato dalla gratitudine, dal rendimento di grazie per il dono del Padre e del Figlio nello Spirito Santo.

Ma Giovanni fa un passo ulteriore e non meno significativo: i credenti devono amarsi fra loro. Giovanni insiste particolarmente sull'amore vicendevole tra i cristiani, non perché non pensi o escluda l'amore ai nemici, un comando innegabile rivoltoci con chiarezza dal Signore, ma perché l'amore vicendevole dei cristiani è il primo indispensabile passo per vivere il vero amore. Come l'amore di Cristo per noi scaturisce dall'amore che anima quella particolare comunità che è la Trinità divina, così il nostro amore per l'umanità può trovare forza e concretezza solo a partire dall'amore interno alla comunità dei credenti.

E questo amore si esprime nella capacità di dedizione e sacrificio, nella capacità di dare la vita. Prima che fosse chiesto questo amore «sacrificale» ai discepoli, Cristo ha dato l'esempio offrendo la vita per essi.

Dare la vita per gli amici è la prova suprema dell'amore. La cosa sorprendente è che Gesù chiami noi credenti, i discepoli, "suoi amici". L'amicizia è definita generalmente in termini di uguaglianza, di mutuo vantaggio e interesse. In che senso i discepoli, noi credenti, siamo amici di Gesù? La risposta si potrebbe dare solo partendo da una nuova definizione dell'amicizia. Gesù non ha interessi comuni con i suoi discepoli e non guadagna nulla con la nostra amicizia. Egli è il Signore, e sarebbe naturale considerare i cristiani come discepoli o come servi. Ma egli ora ci chiama amici, per l'unica ragione che ci ha liberamente scelti per essere suoi amici e ci ha generosamente e gratuitamente amati fino alla fine. Amore e amicizia sono dunque le parole che parlano eloquentemente delle relazioni fra Gesù e noi suoi discepoli.

Come spiegare il mistero di un amore così grande? Non ci sono spiegazioni oltre la rivendicazione di un diritto d'amore e libertà: "io ho scelto voi!" dice il Signore.

Commento a cura di don Nazzareno Marconi

 

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