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TESTO Ritornare alle radici. L'albero come figura del credere

don Mario Campisi  

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V Domenica di Pasqua (Anno B) (14/05/2006)

Vangelo: Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,1-8

1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Il nostro rapporto con Cristo è il tema di fondo di questa domenica.

Gesù ama identificarsi in qualche immagine che "renda l'idea", vuol farsi capire da tutti, perciò traduce in paragono la realtà trascendente del divino, la sua incommensurabile ricchezza, la gratuità del rapporto con l'uomo.

"Sono il pastore", ha proclamato domenica scorsa; "Sono la vite", spiega, continuando a comporre il mosaico della sua missione, in questa domenica. E aggiunge altri tratti qualificanti: la "vigna" l'ha piantata il Padre, che è "agricoltore". E' una "vite" ricca di linfa', di vitalità, di frutti e di "tralci". I tralci, questi rami carichi di speranza, siamo noi: o restiamo attaccati alla vite e ci lasciamo potare dall'esperienza dell'agricoltore o saremo recisi perché inutili, buoni ad alimentare fuochi fatui tra gli sterpi.

E' il grande tema della vita interiore, il piano globale di Dio nella parte terminale che costituisce la dignità del cristiano.

La teologia di Giovanni (2^ e 3^ lettura di oggi) non è uno stato psichico estatico per iniziati, come spesso si immagina l'esperienza spirituale. E' invece la maturità della fede, fatta adulta con l'adesione totale al Cristo totale e con l'incamminarci sulle orme dei suoi discepoli.

L'abitudine al "fare" o all' "efficientismo produttivo" – a volte anche di qualche piano pastorale asfittico e strabico – ha offuscato la gioia di essere figli di Dio. Così a forza di parlare, da idraulici, di canali e di tecniche, si è dimenticata la sorgente. Anzi è parso che il contemplare l'amore gratuito di Dio diminuisse l'impegno nel sociale. Si è troppo parlato di "tralci" e non si è messo in conto che senza linfa sono già secchi.

Ritornare alle radici è, più che un riscoprire valori, un'inversione di marcia. Recuperare certezze eclissate o scolorite dal tempo, non dall'uso, non ci dispensa dal contemplare e dall'usufruire della fonte.

"Senza di me non potete fare nulla". E' un'affermazione che va ribadita più che mai, nel clima di autosufficienza e di autogiustificazione in cui siamo immersi. Ed è proprio quando questa visione secolarizzata dell'uomo e della storia sfocia nel "secolarismo", che, negati i valori della trascendenza e della rivelazione, si perdono il "senso di Dio" e dei rapporti con lui, e il "senso del peccato" come dimensione verticale di offesa a Dio.

L'immagine dell'albero ispira anche la parola del Vangelo di oggi. Gesù dice ai suoi discepoli: "Io sono la vite, voi i tralci..." (v. 4). Proviamo a fissare insieme alcuni aspetti di questa relazione "vite-tralci" che qualifica il rapporto di Gesù con i suoi discepoli.

Un primo aspetto è quello della "stabilità". L'albero è l'immagine naturale della stabilità. Se continuamente trapiantato da un terreno all'altro, c'è il rischio che muoia. L'immagine dell'albero come stabilità radicata è l'immagine stessa della fede come radicamento.

Credere è un radicarsi sempre più in Dio. Già dalla prima pagine della Bibbia risulta che il credere è la via obbligata per accedere all'albero della vita nel paradiso terrestre: "Se non credete – dice Isaia (7,9) – voi non avrete stabilità".

L'altro aspetto del rapporto "vite-tralci" è la "fecondità": "Chi rimane in me ed io in lui, porta molto frutto" (v. 5). L'albero come immagine della stabilità della vita del discepolo non è solo figura della sua fede, ma anche della sua speranza che è un po' come la fecondità della fede.

Non si spera veramente a partire dalla vita presente ma a partire dalla vita futura. Diceva La Pira in una sua lettera: «Togliete il ramo secco dell'ateismo e vedrete quel tronco rifiorire a nuova vita e speranza per tutti».

L'albero come immagine della vita dell'uomo è anche immagine della storia e del futuro di una comunità. Ricomporci in tralci, innestati nella "vite" per il fluire della linfa vitale, è indispensabile condizione per il cammino della Chiesa, nella riscoperta della dignità della singola vocazione e missione nei limiti della costituzionale miseria e nella ricchezza del piano di Dio per la salvezza dell'uomo.

 

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