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TESTO A te la mia lode, Signore, nell'assemblea dei fratelli (247)

don Remigio Menegatti  

V Domenica di Pasqua (Anno B) (14/05/2006)

Vangelo: Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,1-8

1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Per comprendere la Parola di Dio alcune sottolineature

La prima lettura (At 9,26-31) nella parte finale sottolinea il momento felice che vive la comunità cristiana dopo che Paolo si è inserito nel gruppo dei discepoli di Gesù. Un inserimento non facile, ma favorito da Barnaba; un ingresso che aiuta la comunità ad aprirsi agli Ebrei di cultura greca, anche se alcuni di questi manifestano progetti molto critici nei confronti del nuovo apostolo.

Il vangelo (Gv 15, 1- 8) presenta una similitudine di Gesù: si presenta come la vite, di cui Dio Padre si prende cura. Una vite che porta frutto grazie allo Spirito e in essa ogni credente che rimane strettamente legato al Signore trova il suo senso. Al contrario, staccati da Gesù si diventa inutili, come un tralcio tagliato, che presto si secca e viene bruciato. La fedeltà dei credenti è motivo di gioia per Dio.

Salmo 21
Lodate il Signore, voi che lo temete,
gli dia gloria la stirpe di Giacobbe.
Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano:

«Viva il loro cuore per sempre».

Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.
A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.

E io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:

«Ecco l'opera del Signore!».

Il salmo che usiamo questa domenica è solo la conclusione di quello che Gesù usa in croce e che inizia con espressioni molto lontane da quelle che ripetiamo nella liturgia. Infatti dal "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato, si passa, alla conclusione del salmo, alla fede profonda, ma infesta con entusiasmo, così da coinvolgere altri.

Il fedele, coinvolto nel pericolo incombente, aveva invocato l'aiuto di Dio, ha sperimentato la sua protezione e ora, liberato dalle gravi paure che lo minacciavano, può cantare la sua riconoscenza al Signore. Una riconoscenza che diventa professione di fede e impegno a servire il Signore; si fa anche annuncio della giustizia di Dio, annuncio che è destinato a ripetersi nel tempo in modo da coinvolgere anche le generazioni future. In questo modo anche chi viene dopo può riconoscere l'opera grande del Signore a favore di chi lo invoca con fiducia.

Un commento per ragazzi

"C'era una volta, tanto, tanto tempo fa, in un paese incantato..." così cominciano tante fiabe che, almeno da piccoli, ci facevano sognare, pensando a posti splendidi, personaggi stupendi, avventure affascinanti, e un finale che rende tutti felici e contenti.

Ma poi abbiamo scoperto che le favole sono belle, ma che non fanno parte del nostro mondo concreto. Certo, possono farci sognare situazioni speciali e imparare qualche atteggiamento che può rilevarsi utile.

Quello raccontato dagli Atti degli apostoli non è un mondo di fiaba, dove tutti vano d'accordo, nessuno di trova in difficoltà perché c'è sempre tanta gente pronta ad aiutare chi è meno fortunato. Un mondo in cui sono sparite le divisioni e non si ricorda più la fame, la povertà; dove odio è una parola sconosciuta, e c'è in giro tanta, ma tanta, "spremuta di cuore".

In realtà lo stesso libro che racconta fatti davvero positivi, ci parla anche di momenti difficili, tensioni, veri e propri peccati, dove qualcuno appare chiaramente lontano dalle buone intenzioni e soprattutto dalla proposta di Gesù.

Allora tutto va secondo il caso? È lasciato al destino che conduce la storia secondo strade che a noi sono sconosciute? È possibile tendere al bene, oppure è solo frutto della sorte che può manifestarsi benevola o negativa?

Gesù ci dona una risposta importante: chi sta unito a lui "porta frutto", e un frutto buono e abbondante. Gesù parla di frutto perché utilizza un'immagine familiare per tante gente: quella della vite. Anche noi conosciamo e apprezziamo la vite, presente in tanti terreni del nostro Paese.

Per gli ebrei la vite non era solo una delle piante che crescevano rigogliose sulle colline sassose della Palestina; la vite era una delle immagini per parlare del popolo eletto, per rappresentare la cura con cui Dio stesso aveva scelto il vitigno, il terreno dive metterlo a dimora. La cura costante di Dio, anche quando la pianta sembra non dare frutto oppure coloro che sono incaricati di coltivarla e portare il frutto al padrone non se ne curano affatto. Uniti a Gesù si porta frutto, si vive la vita, non da favola, dove tutto funziona a meraviglia come per incanto. Una vita anche impegnativa, a volte con delle fatiche, ma che tende al bene, è aiutata da Gesù, perché vivendo come lui ci insegna si trova la gioia, quella vera.

La nostalgia che fa ritenere che ci siano stati tempi favolosi tutto fare il bene risultava scontato, e non richiedeva alcun impegno...questa nostalgia non ha alcun senso. È meglio lasciarla perdere e provare invece a "rimboccarsi le maniche" sapendo che la nostra buona volontà, unita al dono di Gesù, ci permette di realizzare il bene che sentiamo dentro come un grande desiderio e uno stimolo a cercare di superarci.

Uniti a lui significa ascoltarlo, e dialogare con lui; imitare il suo modo di fare e sentire la sua presenza come un dono. Significa scoprire che essere suoi amici non è certo un peso, e tanto meno un limite, una specie di disgrazia. È un dono, un tesoro da sfruttare, un'opportunità per essere felici e far felici anche altri, per condurre la propria canoa sul fiume che ci porta ad un mare di vita, in cui vivere e donare vita anche ad altri.

Un suggerimento per la preghiera

Donaci o Padre la gioia di scoprire cosa significa che anche noi siamo "inseriti in Cristo, come i tralci nella vera vite". E per questo ti chiediamo "lo Spirito, perché, amandoci gli uni gli altri di sincero amore, diventiamo primizie di umanità nuova e portiamo frutti di santità e di pace". Con noi lo chiede lo stesso Gesù, tuo Figlio e nostro Signore, colui che ci dona la linfa perché possiamo portare frutto, un frutto buono e abbondante.

Libri di don Remigio Menegatti

 

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