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TESTO Commento su Giovanni 10,11-18

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IV Domenica di Pasqua (Anno B) (07/05/2006)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Nel brano degli Atti degli Apostoli, troviamo Pietro che, pieno di Spirito Santo, dà la sua testimonianza di fede, in modo deciso e senza paura, annunciando che la salvezza viene solamente da Gesù Cristo, che definisce come "la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d'angolo". La stessa affermazione la troviamo nel Salmo 117, con una ulteriore sottolineatura: "ecco l'opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi" (valorizza ciò che apparentemente non ha valore). Quindi la salvezza viene solamente da Lui, da quel Cristo che noi "abbiamo crocefisso", che abbiamo scartato con i nostri egoismi, ma che Dio ha resuscitato dai morti affinché stesse innanzi a noi.

Anche Giovanni nella sua lettera ci ricorda che Gesù è il dono che il Padre ci ha dato, per essere chiamati figli di Dio, e lo conosceremo in modo pieno quando Lui si manifesterà, perché saremo simili a Lui. Un messaggio di fiducia per il momento che viviamo noi qui, ora, e un motivo di speranza per il futuro.

Lo stesso Giovanni, nel suo vangelo, ci presenta ancora meglio la figura di Gesù, paragonandola a quella del "Bel Pastore" (come viene tradotto correttamente dal testo greco), e per rafforzare il senso di questa immagine, la confronta con quella del "mercenario", cioè di colui che non è pastore, a cui le pecore non appartengono, bensì le usa per se stesso, senza sottomettersi agli interessi del gregge; se si trova in pericolo lo abbandona alla mercé del lupo, cioè di coloro che uccidono, che lo dividono e lo disperdono sia in modo fisico che morale. Gesù, invece, offre la sua vita, senza nessun obbligo, perché ha "il potere di offrirla e di riprenderla di nuovo", segno d'amore che viene direttamente da Dio Padre. Egli conosce le sue pecore, cioè le ama, non solo quelle che appartengono al suo "ovile", ma tutte quelle del mondo intero.

E' interessante vedere la dinamica di questo amore (conoscere) che Giovanni ci descrive, un amore a doppio senso tra noi (pecore) e Gesù (Pastore) e tra Gesù (Figlio) e Dio (Padre), che diventa un tutt'uno attraverso la voce (Parola) di Gesù, il Bel Pastore.

Ecco quindi il grande mistero del dono che si fa vita, che si trasforma in un tutt'uno con Dio e con i fratelli, attraverso il comando di Dio e la mediazione di Gesù Cristo. Come non trovare questa dinamica all'interno della coppia e della famiglia?

Per la riflessione di coppia e di famiglia:

• La proposta della fede cristiana è per i singoli o per il "gregge"? Ci sentiamo pecore, pecoroni o persone libere e coscienti?

• Nelle nostre azioni, nelle nostre scelte, chi e che cosa scartiamo e chi e che cosa mettiamo al centro?

• Abbiamo parlato del mistero del dono che si fa vita: abbiamo voglia di costruire il "gregge", rispettando l'individualità dei singoli componenti della nostra famiglia, le loro capacità, le loro diversità?

Commento a cura di Anna e Carlo Beltramo – Torino

 

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