TESTO Tranquilli, che non siamo noi a salvare il mondo...
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (05/10/2025)
Vangelo: Lc 17,5-10

In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Che bello, se Dio intervenisse nella nostra vita e nelle sorti dell'umanità a risolvere ogni situazione complicata! Che bello, se Dio ci rispondesse immediatamente, ogni volta che lo invochiamo! Sarebbe davvero fantastico avere a nostra disposizione un Dio che trova una soluzione a tutto: che ci dica come porre fine a tutte le guerre, che ci dica come fare in modo che i popoli vivano nella concordia e nella pace, che ci dica come poter guarire da malattie gravi e dolorose, che ci dica come fare per uscire da situazioni economiche difficili, e via dicendo. E invece, ci troviamo spesso a dover gridare come il profeta Abacuc nella prima lettura di oggi: “Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti...?” .
Fino a quando l'umanità dovrà gridare in attesa di un Dio che tarda a fare giustizia? Fino a quando il mondo sarà nelle mani delle lobby dei potenti, nelle mani dei disonesti, dei violenti, dei malvagi e di coloro che non hanno scrupoli e non si fermano nemmeno di fronte allo scorrere del sangue innocente?
Le parole di Abacuc risuonano oggi più forti che mai, di fronte alle infinite situazioni di ingiustizia e di degrado che non accennano a diminuire, neppure con l'accrescimento del benessere e del progresso o con l'avvento di nuove tecnologie, le quali sicuramente contribuiscono ad accrescere il tenore di vita, ma lo distribuiscono in maniera iniqua, squilibrata, ingiusta. Perché - onestamente parlando - non possiamo dire che l'umanità stia sempre peggio: è sufficiente che guardiamo all'innalzamento delle condizioni di salute e dell'aspettativa di vita, che negli ultimi trent'anni a livello mondiale è passata da 70 a 75 anni, e crescerà ancora. L'umanità, quindi, sta sempre meglio, migliora sempre di più le proprie condizioni di vita: purtroppo, le migliora solo quella parte di umanità che non ne ha bisogno perché già vive bene. E tutti gli altri? E tutti coloro che - come il profeta - gridano “Violenza” senza che nessuno li salvi? Quanta disastrata umanità non trova risposta alle proprie ansie di giustizia! E questo, nonostante esistano, in ogni parte del mondo, uomini e donne che si danno da fare (spesso nel silenzio e a volte anche in mezzo alla derisione e alle condanne dei potenti di turno) perché un numero sempre maggiore di persone possa trovare pace, dignità, giustizia, salute e vita.
Da pochi giorni abbiamo iniziato il mese di ottobre, tradizionalmente dedicato alla riflessione e all'animazione missionaria; e ci riempiono di ammirazione le vicende quasi eroiche di molti missionari e missionarie del Vangelo che in ogni parte del mondo uniscono la loro opera di evangelizzazione a un'opera di promozione umana globale, in modo molto meno chiassoso - mediaticamente parlando - di chi fa notizia perché compie gesti eclatanti forse anche con l'intento di far parlare di sé. Eppure, saremmo ingenui, se pensassimo che i missionari riescono a fare quello che fanno perché mossi puramente da sentimenti di filantropia, di amore per l'umanità ferita. Se ogni missionario fosse sorretto esclusivamente dalla propria sana testardaggine e dalla solidarietà dei fratelli che lo aiutano, la missione nella Chiesa sarebbe crollata già da tempo.
Grazie a Dio, la giustizia secondo le categorie di Dio non si misura sulle buone e tante opere che l'uomo è pure capace di fare; perché il giusto - come ci ha ricordato il profeta - non vive per le proprie capacità e i propri meriti. “Il giusto vivrà per la sua fede”. Il giusto, colui che vive la giustizia e la annuncia, ha la possibilità di esercitare la giustizia non per i propri buoni meriti, ma per la grandezza della grazia di Dio. Siamo spesso convinti, infatti, che un'opera di bene funziona nella misura in cui chi la compie elargisce a piene mani i propri sforzi, le proprie capacità, i propri mezzi al raggiungimento di questo scopo; mentre ciò che fa vivere il giusto è la fede in un Dio che può molto di più delle nostre povere mani e delle nostre povere parole. In fondo, le nostre opere non accrescono affatto la grandezza dell'opera di Dio. Il nostro operare è “inutile”, come ci dice il Vangelo: non perché non serva a nulla, ma perché non ha un utile sul quale confidare e contare, non produce ricchezza, non accresce ulteriormente ciò che già la grazia di Dio ci dispensa. La nostra presenza sulla terra, anche qualora fosse fatta di totale servizio e dedizione ai nostri fratelli, è una presenza totalmente inutile.
Ascoltare una frase di questo tipo, al termine del Vangelo di oggi, certamente ci sconvolge, e forse non ci fa neppure molto piacere, soprattutto dopo aver investito energie fisiche, morali e materiali in un'attività di volontariato e di carità verso il prossimo. Eppure, per il credente, nasconde una sacrosanta verità: non siamo noi - neppure quando facciamo clamore o quando tutti parlano bene di noi - i protagonisti sul palcoscenico della storia; non siamo noi - per quanto possiamo compiere opere meravigliose, necessarie, e forse a volte da noi ritenute addirittura indispensabili - i salvatori del mondo. Ci ha già pensato un Altro.
Quello che noi facciamo è “inutile” alla salvezza dell'umanità, perché compiere buone opere, grandi o piccole che esse siano, contribuisce solo in minima parte alla missione di salvare il mondo. Anzi, forse, è più indispensabile alla nostra salvezza che a quella del mondo. Di certo, però, ha la sua utilità: ci mantiene uniti a Dio e alla sua opera, e la nostra unica gioia è quella di aver fatto il nostro dovere, ovvero la sua volontà.