TESTO La fede per cambiare e per vivere
padre Gian Franco Scarpitta Chiesa Madonna della Salute Massa Lubrense
XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (05/10/2025)
Vangelo: Lc 17,5-10

In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Leggendo il brevissimo libro di Abacuc, dal quale è tratta la Prima Lettura di oggi, mi sovviene ricordare il periodo terribile di isolamento e di limitazioni che ci impose la pandemia da covid più di cinque anni or sono, superata la quale ciascuno è rimasto tale e quale.
Si pregava più spesso pur non potendo partecipare ai servizi religiosi e non poche orazioni osservavano che da parte nostra ci si rivolge a Dio solamente nel momento del bisogno, quando cioè ci sentiamo spronati a chiedere delle grazie, dei vantaggi o dei benefici. La fede è per tante persone come uno strumento normalmente riposto in un ripostiglio, del quale si fa uso in caso di necessità estreme e quanto basta per venirne fuori. Una volta superato il problema, lo si ripone in dispensa e lo si lascia in preda alla polvere o addirittura lo si lascia arrugginire. Una volta liberi dalle ristrettezze e dalle limitazioni del morbo pandemico, non tutti infatti hanno usato la dovuta riconoscenza a Dio per non essere stati toccati dal disturbo o comunque per aver superato il fastidio che esso aveva comportato: tanti non sono più tornati alle consuetudini religiose avanzando diversi pretesti e non è mancato chi affermava fosse ancora troppo pericoloso frequentare le chiese eppure era spesso presente nei bar e nei locali affollati. Determinate esperienze dovrebbero convincerci che “il Signore ha dato, il Signore ha tolto, come piacque al Signore così è avvenuto”(Gb 1, 21) e nelle circostanze avverse la fede andrebbe accentuata e consolidata piuttosto che smarrita. Il profeta Abacuc esordisce con la notizia dell'invasione da parte dei Caldei quale punizione per il popolo infedele, ma esorta alla conversione e al ravvedimento perché “il giusto vivrà per la sua fede”.
La violenza e la corruzione deprimono e destabilizzano il mondo, ma anche quando sembra prevalere l'oppressione e l'ingiustizia occorre sempre non demordere nella speranza di un futuro migliore e la fede è l'unica risorsa con cui è possibile non cedere allo sconforto e alla disperazione. Abacuc invoca la giustizia divina e poi conclude che essa non verrà a mancare perché l'intervento di Dio sarà risolutore. Osserva però che anche l'uomo dev'essere giusto, cioè coerente con se stesso e proclive nella fedeltà verso Dio. La fede attenta e coltivata produce la giustizia perché cambia la società a partire da ciascuno di noi. E questo è il monito che ci proviene anche oggi.
Ci sono circostanze nelle quali il raziocinio, la competenza tecnica, il progresso scientifico, non sono in grado di trarre fuori l'uomo dai propri problemi; nessun ritrovato scientifico è riuscito a risolvere o ad attenuare i numerosi problemi esistenziali e le sofferenze interiori dell'animo; nessun espediente di umana provenienza è in grado di rasserenare i soggetti più deboli perché non ricorrano al suicidio e nulla può ancora prolungare a lungo la vita terrena. Nonostante gli espedienti della scienza e della tecnologia sussistono ancora problemi irrisolti.
Episodi raccapriccianti come quelle dei facili femminicidi o di giovani e adolescenti che uccidono la fidanzata alla minima delusione o per motivi banali insignificanti denotano una generale debolezza psicologica e altre lacune che la società non riesce a colmare; ma soprattutto sottolineano la trascuratezza di valori e fondamenti in cui credere e sui quali fondare la nostra esistenza.
Cosa può garantire più stabilità, in un tale contesto, se non la fede, cioè l'apertura libera e disinvolta verso un Ente Supremo che tuttavia ha dimostrato di rendersi vicino all'uomo, facendosi uomo egli stesso? Dio ci si è rivelato infatti specialmente in Gesù Cristo suo Figlio e ci chiede semplicemente di credere, di aderire e di affidarci senza riserve né obiezioni affinché abbiamo vita piena e perché siamo davvero padroni e gestori attenti della nostra vita.
Certo, la fede non consiste nella materialità della verifica o nella comprovazione tattica o sensoriale. Credere non comporta verificare, sperimentare, comprovare determinate verità ma vuole semplicemente il donarsi e l'aprirsi verso l'Assoluto che si fa per noi. Credere vuol dire accettare e affidarsi e la fede è il “fondamento delle cose che si sperano, la prova di quelle che non si vedono” (Eb 11, 1).
Più o meno alla pari del profeta Abacuc, Gesù invita alla radicalità e all'obiettività della fede anche nelle circostanze più deprimenti con un'espressione parabolica che potrebbe suonare paradossale: “Se aveste fede quanto un granello di senapa, potreste dire a questo gelso ‘Sradicati e vai a piantarti nel mare”, ottenendo l'effetto di quanto abbiamo chiesto. E' inverosimile che un albero possa sradicarsi e addirittura piantarsi in mezzo al mare, dragando sott'acqua per piantare le sue radici. E' una metafora per asserire che credere in Dio rende l'uomo partecipe della sua onnipotenza e lo mette in grado di conseguire anche i vantaggi più insperati e inattesi. “Voi farete cose più grandi di me (Gv 14, 12). Il che è possibile, perché Dio è in grado di intervenire per nostro mezzo anche su eventi miracolosi o straordinari. La fede è tuttavia una risorsa vitale che ci guida, ci sostiene, ci indirizza in ogni situazione della vita e che permette di restare saldi e disinvolti nelle minacce e nelle avversità. Il termine stesso “credo” comporta infatti radicalità e costanza. L'uomo in Dio ne può disporre a suo vantaggio quando non si arrende allo sconforto e alla tentazione della miscredenza e della disfatta spirituale.
Da questa fede possiamo trarre vantaggio specialmente quando sia preceduta e fondata sull'umiltà. Questa comporta la stessa disponibilità tacita e fruttuosa di un servo che non si aspetta nulla dal suo padrone ma che si dispone solamente a servire, con riverenza e dispetto. A differenza del servo intransigente, Dio accorderà però la sua ricompensa a chi gli si manterrà fedele rinsaldando sempre più la sua fede e la sua costanza nel bene.