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TESTO Ti da gioia servire il Signore?

don Giacomo Falco Brini   Predicatelo sui tetti - blog personale

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (05/10/2025)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,5-10

In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Certo che ad ascoltare Gesù enunciare le caratteristiche del regno di Dio con le sue esigenze, ci si sente quasi sempre lontano anni luce dal poter vivere realmente quello che ci presenta. Forse anche per questo il vangelo ci ricorda che un giorno, quelli che vissero più vicini al Signore, gli chiesero accoratamente: accresci in noi la fede. Molto probabilmente sintomo di qualcosa di molto simile che essi sperimentavano nell'ascoltare Gesù. La sua risposta però è davvero sorprendente: se aveste fede quanto un granello di senape...Ancora una volta il granello di senape. Ma se Gesù risponde così, sembrerebbe quasi prendersi gioco della richiesta di chi sente di mancare di fede. Se aveste: come dire, “guardate che forse non ne avete per niente di fede” o perlomeno ne avete meno di un granello. E allora cos'è la fede? Il prosieguo delle parole del maestro è inequivocabile: la fede è qualcosa che ti fa entrare nel mondo dell'impossibile. È qualcosa che ti fa affidare pienamente a una persona che chiamiamo Dio, che ha un disegno su di noi da conoscere e calcolare sulle sue possibilità, non sulle nostre.

Di primo acchito parrebbe anche che le parole successive non abbiano niente a che fare con questa risposta di Gesù. Il Signore invita i suoi discepoli a un atteggiamento fondamentale di fronte alla sua chiamata a seguirlo. E ancora una volta lo fa in maniera sorprendente. Dalla piccola parabola sembrerebbe addirittura emergere la figura di un Dio padrone incontentabile, che pretende sempre e sorveglia sospettosamente i suoi sottoposti, senza sentirsi in dovere per il loro servizio. Ma le cose stanno davvero così? O Gesù ce la racconta dentro un orizzonte diverso? Di certo la parabola, più che voler presentare la condotta di Dio verso i suoi servitori, vuole proporre ai discepoli di ogni tempo come deve essere la loro disponibilità a servire Dio. Qui c'è il cuore del messaggio evangelico. La disponibilità del discepolo deve essere totale, senza speculazioni, senza calcoli. Il cristiano si guardi dall'entrare al servizio del Signore con lo spirito dello stipendiato. Non sarebbe diverso dall'uomo mosso dalla sua religiosità “naturale”: faccio qualcosa per Dio perché faccia altrettanto a me. Faccio da bravo ma Lui mi premi. Do ut des. È la candela che si accende a lui (o a un suo santo) prima dell'esame.

A dire il vero in chiesa ci sono tanti servitori di Dio (ma davvero lo sono?) che ti fanno “respirare” proprio una relazione di questo tipo. E non è proprio una bella aria che si respira. Come se essi avessero stipulato un contratto per le loro prestazioni di servizio e obbedienza. Purtroppo sono coloro che non rendono credibile il Signore e le meraviglie del suo vangelo. Sono come il figlio maggiore della parabola del Padre misericordioso o, meglio ancora, come gli operai della prima ora della parabola dei lavoratori nella vigna. Gesù invece desidera e ci dona di entrare in relazione filiale d'amore con Colui che ci ha donato di chiamare “Padre nostro” nella preghiera. Se vivo così la mia vita con il Signore, lo servo con spirito completamente diverso. Sarò contento e pieno di gratitudine nella mia disponibilità. E non accamperò diritti verso il Signore perché sono al suo servizio. Allora la chiamata a diventare suo discepolo diventa per sé stessa sorgente di gioia. Se vivo così la mia fede, non ho bisogno né di vantarmene né di fare confronti. Perciò si può sicuramente comprendere perché, dopo aver fatto la sua volontà, Gesù invita a dire soltanto: siamo servi inutili. Che non vuol dire che non si fa niente di utile o che ci si deve sminuire in quello che si fa, ma che abbiamo solo scoperto che essere servitori del Signore è una gioia indicibile.

 

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