VIDEO Il vero tesoro - con breve riflessione su Charlie Kirk
don Nicola Salsa don Nicola Salsa
XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (21/09/2025)
Vangelo: Lc 16,1-13

In quel tempo, 1Gesù diceva ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 3L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. 6Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. 7Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 8Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
Forma breve (Lc 16, 10-13):
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli: 10«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
Il vero tesoro - al termine una breve riflessione su Charlie Kirk
Il Vangelo di questa domenica ci presenta una delle parabole più enigmatiche di Gesù: quella dell'amministratore disonesto. A prima vista sembra un racconto quasi scandaloso: un uomo che sperpera i beni del suo padrone, viene scoperto, e anziché essere condannato, viene addirittura lodato. Ma che cosa vuole insegnarci Gesù attraverso questa pagina?
C'era un uomo ricco - dice il testo - che aveva un amministratore. Già qui c'è un primo dettaglio importante. Quando il Vangelo di Luca presenta “un uomo ricco”, quasi sempre il giudizio è negativo. L'uomo ricco è quello che pensa solo a sé, che accumula, che non vede il povero alla sua porta, come il ricco epulone.
La ricchezza è spesso associata a un pericolo, a un idolo che prende il posto di Dio. In questo contesto, l'amministratore non gestisce una ricchezza “buona”, ma quella che il Vangelo definisce “ingiusta”: la ricchezza di mammona, cioè il denaro che diventa un idolo, un padrone alternativo a Dio.
Questo amministratore viene accusato di aver sperperato i beni del padrone. Non è descritto come un ladro, ma come uno che non fa crescere l'accumulo del ricco. E il padrone decide di cacciarlo. Qui vediamo la logica del denaro: se non servi a far fruttare i beni, sei buttato via. L'amministratore si trova in crisi: non ha la forza di zappare, si vergogna di mendicare.
Ma non si arrende: usa la testa, cerca una via d'uscita. E la trova con scaltrezza. Convoca i debitori e riduce i loro debiti. Cento barili d'olio diventano cinquanta, cento misure di grano diventano ottanta. Così si assicura la riconoscenza di quelle persone, che un giorno potranno accoglierlo.
Il padrone, che pure è stato danneggiato, riconosce l'astuzia di quell'amministratore. E Gesù aggiunge una frase sorprendente: “I figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce”. In altre parole, chi vive secondo la logica del mondo sa muoversi con intelligenza per difendere i propri interessi, mentre chi appartiene a Dio spesso è ingenuo, passivo, poco deciso.
Non significa che Gesù ci inviti a imbrogliare, ma che ci chiede di imparare a usare la stessa intelligenza e la stessa prontezza per il Regno di Dio.
Il cuore della parabola non è la disonestà, ma la capacità di prendere decisioni concrete davanti a una crisi. L'amministratore ha perso il posto, ma non ha perso la testa.
Ha saputo trasformare una situazione disperata in occasione di futuro. Gesù ci dice: anche voi, con la ricchezza ingiusta di questo mondo, imparate a farvi amici, cioè a creare legami, a condividere, a costruire rapporti che aprono le porte della vita eterna. La ricchezza non serve a dominare, ma a generare fraternità.
Per questo Gesù conclude con tre insegnamenti chiari. Primo: chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto. Non contano solo i grandi gesti, ma la fedeltà nelle cose quotidiane, nel lavoro, nelle relazioni, nei piccoli gesti di onestà.
Secondo: se non siamo affidabili nella ricchezza ingiusta, come Dio ci affiderà quella vera, cioè il tesoro del Regno?
Terzo: nessuno può servire due padroni. O serviamo Dio, o serviamo il denaro. Non esiste neutralità. Non possiamo illuderci di conciliare entrambe le logiche.
Il messaggio diventa allora molto concreto. Gesù si rivolgeva in particolare ai pubblicani, cioè a coloro che amministravano le tasse per conto di Roma, spesso visti come peccatori e corrotti.
Li invita a convertirsi: anche se vivono dentro un sistema ingiusto, possono scegliere di non farsene dominare, di relativizzare il potere del denaro, di usare la scaltrezza per il bene. In fondo è ciò che accadrà a Zaccheo, capo dei pubblicani: incontra Gesù, si converte, restituisce quattro volte tanto e dona metà dei suoi beni ai poveri.
Per noi oggi questo Vangelo è un invito forte a riflettere sul nostro rapporto con i beni. Non si tratta di disprezzare il denaro, ma di non farlo diventare un idolo. La ricchezza è definita “ingiusta” non perché in sé sia sporca, ma perché tende a essere accumulata a scapito degli altri, diventa facilmente strumento di disuguaglianza e di esclusione. Allora Gesù ci invita a liberarcene, a usarla in modo diverso: per creare amicizia, per costruire comunità, per condividere. È questo che rende la ricchezza “redenta”.
La parabola ci mette davanti a una scelta: chi è il nostro padrone? Dio o la ricchezza? Se serviamo Dio, il denaro diventa mezzo, strumento di carità e di giustizia. Se serviamo il denaro, tutto diventa idolatria, e anche le persone sono ridotte a strumenti. Non possiamo servire due padroni.
Il Vangelo ci provoca: abbiamo la stessa passione, la stessa intelligenza, la stessa determinazione che i figli di questo mondo hanno per i loro interessi? Usiamo la nostra fede con creatività, sappiamo inventare strade nuove per vivere il Vangelo, sappiamo scegliere con decisione Dio come unico Signore della nostra vita?
L'amministratore della parabola non è un modello di disonestà, ma di scaltrezza. Così il discepolo non deve imitare i suoi imbrogli, ma la sua capacità di agire, di decidere, di usare intelligenza per prepararsi un futuro. E il nostro futuro è il Regno di Dio.
Ecco allora l'invito che oggi ci raggiunge: non lasciarti schiacciare dal potere del denaro, non restare passivo davanti alle difficoltà. Usa la testa, il cuore e la fede per trasformare ciò che hai in occasione di amore e di comunione. Così, quando la ricchezza verrà meno - perché prima o poi passa - resteranno gli amici, cioè i fratelli, e soprattutto resterà Dio, l'unico vero Signore che ci accoglie nelle dimore eterne.
Concludo con una piccola personale riflessione: La notizia della morte violenta di Charlie Kirk, ha scosso l'opinione pubblica americana e non solo. Non era un uomo perfetto, come non mi trova d'accordo riguardo alla sua posizione sul tema delle armi e il suo sostegno a Trump, ma aveva scelto di battersi per valori che affondano le radici nel Vangelo: la difesa della vita nascente, la dignità della persona, la libertà religiosa, la testimonianza che Gesù è Via, Verità e Vita, la custodia della famiglia. Su questi temi non arretrava, pur sapendo di esporsi all'odio e al rischio.
La sua vicenda diventa per noi un pungolo. Troppo spesso, come cristiani, tendiamo ad annacquare il Vangelo per non scontrarci, per non offendere chi la pensa diversamente. Preferiamo tacere, attenuare, evitare il conflitto. Ma il Vangelo non è fatto per essere addolcito: è una parola di verità che chiede coerenza, anche quando costa.
Ecco allora la domanda che questo fatto drammatico ci consegna: io, come cristiano, sono capace di vivere le conseguenze della mia fede? So testimoniare il Vangelo con chiarezza, senza paura, senza compromessi, anche quando rischio di perdere la stima, il consenso, o perfino la sicurezza della mia vita?
La parabola dell'amministratore disonesto ci invita a usare intelligenza e decisione per prepararci al futuro che conta. L'esempio di chi, come Kirk, ha pagato con la vita la coerenza delle proprie convinzioni, ci ricorda che la fede non è un'idea da custodire, ma una scelta da vivere, fino in fondo.