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TESTO “Esaltare” la croce?

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

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Esaltazione della Santa Croce (14/09/2025)

Vangelo: Gv 3,13-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 3,13-17

13Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. 14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

La festa dell'Esaltazione della Santa Croce - che quest'anno prevale sulla domenica del Tempo Ordinario - ha origini antiche, legate anche a motivazioni che forse non sono proprio del tutto religiose: due imperatori cristiani di Roma, Costantino ed Eraclio, videro nella Croce di Cristo il motivo della loro vittoria contro due eserciti nemici, per cui le origini storiche di questa festa rimandano, purtroppo, a fatti di sangue e di violenza. La cosa pare stridere non poco con tutto ciò che riguarda la fede cristiana.

Ma ciò che maggiormente “stride” a mio avviso è il fatto che questa festa invita noi cristiani a “esaltare” la croce. Finché si tratta di esaltare la forza salvifica della Croce di Cristo, nessuno di noi credo abbia nulla da ridire; ma se è vero che celebrare il mistero di Cristo significa anche celebrare il mistero della nostra fede e della nostra esistenza, esaltare e celebrare le croci della nostra vita di ogni giorno a me personalmente qualche problema lo crea... Chi di noi, in tutta onestà, se la sente di “esaltare” la propria croce quotidiana? Chi si sente in grado di esaltare una vita fatta più di problemi che di soddisfazioni? Chi se la sente di esaltare un lavoro che non c'è o che - quando c'è - è sottopagato o soprattassato? Come si possono esaltare le preoccupazioni che ci vengono dalla vita di ogni giorno? Le sofferenze e i dolori legati a una malattia, così come il mistero insondabile del dolore innocente e, in definitiva, della morte...chi se la sente di esaltarli e glorificarli?

Per di più, “esaltare la croce” sembra un controsenso, in una società come la nostra che tende ad eliminare i crocifissi dalla propria vista. Facciamo delle battaglie ideologiche per eliminare i crocifissi dalle aule e dai luoghi pubblici, sostenendo che vogliamo rispettare le sensibilità e i “Credo” religiosi di tutti, e al tempo stesso non ci preoccupiamo affatto di rispettare, di non offendere le migliaia di crocifissi viventi, i milioni di persone che nel mondo sono perennemente attaccati alla croce, spesso - peraltro - senza nessuna prospettiva di salvezza e di resurrezione!

Chi mai, oggi, rispetta, venera ed esalta i tanti crocifissi della storia? Affamati, senza tetto, barboni, migranti, esiliati, vittime innocenti della guerra e del razzismo, donne sfruttate, violentate e uccise, bambini privati di ogni diritto e incentivati a delinquere, malati terminali, e chi più ne ha, più ne metta: quante volte i nostri comportamenti tendono più a eliminarli dalla nostra vista che a esaltarli, a rispettarli, a venerarli come la presenza storica, qui e oggi, di Cristo in croce? Ci dà fastidio fermarci e guardarli negli occhi: vogliamo eliminarli e addirittura ci rivolgiamo a Dio perché ce ne liberi, non senza aver prima dato a Dio la colpa di tutto questo, come il popolo d'Israele uscito dall'Egitto: “Perché ci avete fatto salire dall'Egitto per farci morire in questo deserto?”. Come a dire: perché ci obblighi a fare i conti ogni giorno con la croce, quando staremmo molto meglio rinchiusi nel nostro “Egitto” fatto di sicurezze? Siccome poi Dio non è che ci risponda sempre benevolmente, anzi, rincara la dose con l'invio di serpenti che bruciano sul vivo le nostre ferite, allora non ci resta che supplicarlo perché allontani da noi questi serpenti.

E la risposta di Dio alla nostra supplica è sconcertante: ci salveremo solo se avremo il coraggio di guardare in faccia alla croce. Gli israeliti nel deserto riuscivano a salvarsi se, morsi dai serpenti, guardavano l'asta con il serpente di bronzo innalzata da Mosè; “figura” dell'albero della Croce su cui, nel deserto del Golgota, verrà innalzato e guardato il “Figlio dell'Uomo, perché chi crede in lui abbia la vita eterna”.

C'è un solo modo per salvarci dalla croce quotidiana della sofferenza e della morte: ed è quello di guardare in faccia alla croce. Mi è venuto questo pensiero, in questi giorni, anche guardando alla conclusione del restauro del meraviglioso crocifisso del Volto Santo di Lucca: è un crocifisso che - come molti altri scolpiti o dipinti tra il IX e il XIV secolo - ha gli occhi aperti, sbarrati, vivi. Occhi vivi che non solo rappresentano il Cristo in croce trionfante perché risorto, ma che ci guardano apertamente e direttamente perché ci interpellano, ci invitano a fare altrettanto con lui: a guardarlo dritto negli occhi.

Questo significa solamente una cosa: che a noi, oggi, è dato di salvarci dalla sofferenza e dalla morte se a essa siamo capaci di guardare in faccia, negli occhi, non con atteggiamenti di sprezzante sfida, e nemmeno con disperata rassegnazione, ma con la speranza che viene dalla fede. Quella speranza che ci è trasmessa dagli occhi vivi e spalancati di quegli antichi e meravigliosi crocifissi; quella speranza, cioè, che viene dalla consapevolezza che Dio non ha eliminato la morte dalla nostra vita, ma ha deciso liberamente di assumerla su di sé, di accompagnarci nel momento della solitudine, della sofferenza, della malattia, della morte, e di farci sentire che quella croce non siamo più da soli a portarla. Questo è il senso della “esaltazione” della croce.

Dio è consapevole delle croci dell'uomo, non perché sia lui a mandarcele, ma perché lui stesso, nella persona di suo Figlio Gesù, le ha provate sulla sua pelle. E continua a provarle, a portarle su di sé, in ogni uomo che soffre e che muore, ancor di più se ingiustamente e innocentemente.

Ed è proprio questa condivisione, questa “com-passione” con l'uomo e con le sue croci quotidiane che rappresentano per noi speranza e addirittura fonte di vita nuova. Perché da Cristo in poi, da quel tragico venerdì sul Golgota, l'uomo non è più da solo, nella sofferenza: Dio è con lui, lo accompagna, lo aiuta, lo conforta, lo redime, lo salva. E oggi, addirittura, lo esalta.

 

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