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TESTO Chi stiamo amando, quando amiamo?

don Andrea Varliero

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (07/09/2025)

Vangelo: Lc 14,25-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 14,25-33

In quel tempo, 25una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 26«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

28Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 33Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

Le suore che sono state figure essenziali e fondamentali nelle nostre parrocchie, in un tempo passato prossimo, volto femminile e materno di Dio, capaci di ascolto e di cura. Sono figlio spirituale di una di loro. Mi confidò che uno dei suoi più grandi rammarichi e un momento di fatica immane nel suo cammino lo ha vissuto alla morte del padre, lei appena entrata nella congregazione, impedita dai superiori di parteciparne al funerale. Formazione dura, dura davvero, impensabile ai nostri giorni, eppure scritta sulla carne di tanti consacrati. Questo versetto del Vangelo, «se uno non mi ama più di suo padre e sua madre», se lo ripeté in testa fino allo sfinimento, per non impazzire di dolore. Questo davvero ci chiede il Signore? Un cuore di pietra, insensibile da non volgere lo sguardo e portare una preghiera ad un nostro genitore appena mancato? E contemplo Lui, e mi rendo conto che non è un amore esclusivo quello che chiede, bensì sempre inclusivo. Il suo è un Amore totale, ed è per questo che abbraccia tutto e che tutto a Lui conduce. Anche quelli che sembrano sbagliati, che non hanno avuto un lieto fine, anche gli amori finiti.

Una domanda porta in me questo passo: chi stiamo amando, quando amiamo? Quale volto cerchiamo nel viaggio della nostra vita? Tutte le nostre relazioni più profonde, quelle più forti, ci indicano che stavamo cercando unicamente Dio, nel nostro cuore era Dio che ci spingeva al desiderio. Scrive un grande autore del Novecento, C.S. Lewis: «Noi siamo stati creati per Dio: le persone che abbiamo amato su questa terra hanno risvegliato il nostro affetto, solo in quanto avevano qualche elemento di somiglianza con Lui, manifestazioni della sua bellezza, della sua tenera benevolenza, della sua saggezza e bontà. No, non li abbiamo amati troppo, il rischio è stato quello di non esserci resi conto di chi veramente stavamo amando. Non ci sarà chiesto di abbandonare quei visi così familiari per rivolgerci a un volto sconosciuto. Tutto ciò che in essi era autentico amore, anche qui sulla terra, è stato più suo che nostro, e nostro soltanto perché suo».

Allora un piccolo esercizio del cuore: di lasciare entrare Dio nei legami che mi legano alla terra, di cercare in quei volti il suo stesso volto. Di affidarli a Dio, quando noi non siamo più in grado di custodirli. Quando Lui entra nelle nostre esistenze, ci restituisce gli uni agli altri in modo inatteso.

E rinunciare a se stessi: un verbo di resa, un verbo di fallimento, un verbo che nulla ha a che vedere con questi anni di continua crescita, di continue pretese, di linea che deve sempre salire verso un di più. Abbracciare Lui nella mia esistenza significa accogliere la quotidiana rinuncia, a volte piccola, a volte più profonda. Eppure, è grazie a questo vuoto che la sua presenza è possibile, è grazie a quella parola rinunciata, a quella pretesa rinunciata, a quella rivendicazione rinunciata, che Lui si rende presente. Cristo mi accompagna verso l'essenziale, un essenziale che a volte pesa. Ma la fatica del rinunciare la comprendo per questo viaggio che si chiama vita: più leggeri, più liberi. Meno ingombri, e più vita. Quella scena nel film «Mission» mi è rimasta impressa: per riuscire a salire, a salvarsi dalle acque della cascata, è stato necessario togliere tutto il peso addosso, tutta la zavorra, altrimenti non si sarebbe sopravvissuti. Nel pellegrinaggio vissuto in biciletta, abbiamo fatto tappa ad Assisi, alla Porziuncola. Lì Francesco è morto, nudo sulla nuda terra, indicandoci che con noi non porteremo assolutamente nulla, se non la vita che abbiamo donato, forse l'amore che abbiamo tentato.

Tra questi due, tra l'amore più grande e la rinuncia, in mezzo sta la Croce e il crocifisso. Prenderla con sé, portarla, accoglierla senza subirla. La croce non è qualcosa che ci è toccata, una grana difficile da risolvere, ma un dono da accogliere, lasciargli spazio. Allora comprendo che quelle che sembravano impervie salite, severi moniti di predicatori quaresimali, cose passate, sono in realtà movimenti di primavera, nuove fioriture alla nostra vita. Voglio ancora più bene alla mia famiglia, alle persone che incontro, sono ancora più felice se lascio uno spazio aperto abitato da Dio. La felicità. (don Andrea)

 

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