TESTO La porta è stretta, ma non è chiusa a chiave
don Lucio D'Abbraccio don lucio d'abbraccio
XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (24/08/2025)
Vangelo: Lc 13,22-30

In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
«Signore, sono pochi quelli che si salvano?» Una domanda che attraversa i secoli e arriva fino a noi. Quante volte, davanti alle tragedie del mondo, ai conflitti, alle ingiustizie, ci siamo chiesti anche noi: «Ma alla fine, chi ce la farà? Ci sarà posto anche per me?»
Gesù, però, non risponde con statistiche o percentuali. Non dice: «Sì, sono pochi» o «No, sono tanti». La sua risposta è sorprendente: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta». È come se un ragazzo chiedesse al suo allenatore: «Mister, quanti della mia squadra andranno alle Olimpiadi?». E l'allenatore rispondesse: «Non pensare agli altri, concentrati sul tuo allenamento!».
Attenzione: Gesù non dice che la porta è chiusa, non dice che è per pochi eletti. Dice che è stretta. E questo cambia tutto. Una porta stretta non è invalicabile, ma richiede decisione, sforzo personale, un modo preciso di attraversarla.
Pensate a un alpinista che vuole scalare l'Everest: non può portarsi dietro il frigorifero, il divano e la televisione. Deve alleggerirsi, scegliere solo l'essenziale. La porta stretta è l'invito a liberarci da ciò che appesantisce il cuore: l'egoismo, l'indifferenza, la superficialità.
E la porta stretta nella vita quotidiana? È la porta della pazienza quando vorremmo esplodere di rabbia con un figlio che non ascolta o con un collega che ci provoca. È molto più larga e comoda la porta dell'insulto, vero? È la porta della fedeltà al nostro sposo o alla nostra sposa, anche quando la routine appesantisce il cuore e altre porte più larghe e apparentemente più eccitanti sembrano aprirsi attorno a noi. È la porta dell'onestà, quando potremmo facilmente guadagnare qualcosa in più con una piccola furbizia, senza che nessuno se ne accorga. È la porta del perdono, quando tutto il nostro orgoglio grida vendetta. La porta larga è il rancore, che ci fa sentire potenti per un istante, ma ci avvelena l'anima.
Sant'Agostino diceva: «Dio ha sete che noi abbiamo sete di lui». Ma spesso siamo come quei turisti che visitano la Cappella Sistina guardando solo il cellulare per fare selfie, perdendosi la bellezza che hanno davanti agli occhi. Viviamo accanto a Gesù senza vederlo davvero, parliamo di lui senza ascoltarlo, lo nominiamo senza conoscerlo.
Nel Vangelo alcuni si vantano: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze!». È l'illusione di chi pensa che basti la vicinanza esteriore. È come quello studente che si siede sempre in prima fila ma non studia mai, convinto che la prossimità al professore basti per superare l'esame. O come chi pensa di essere un grande cuoco solo perché guarda tutti i programmi televisivi di cucina, senza mai accendere i fornelli.
San Giovanni Crisostomo ci ricorda: «Non basta chiamare Cristo “Signore” se poi non si fa la volontà del Padre». Quante volte diciamo «Certo, Signore!» e poi facciamo di testa nostra? È come quel figlio che dice sempre «Sì, mamma» ma poi non muove un dito per aiutare in casa.
Gesù ci avverte: verrà un giorno in cui il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta. E allora, da fuori, alcuni busseranno dicendo: «Signore, aprici!». E si sentiranno rispondere: «Non so di dove siete». Terribile! Ma la cosa più scioccante è la loro protesta: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze». Che tradotto significa: «Signore, ma come? Sono sempre venuto a Messa, ho fatto la comunione, ho il Vangelo in casa, ho anche condiviso le tue frasi su Facebook!».
Gesù ci dice che non basta una religiosità di facciata. È come avere cinquemila amici sui social ma nessuno con cui parlare quando siamo tristi. Conoscere Gesù non è sapere cose su di lui, ma avere una relazione viva con lui. Possiamo sedere allo stesso tavolo ogni giorno con una persona e rimanere un perfetto sconosciuto se non le apriamo mai il cuore.
Ecco allora il colpo di scena: «Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi». Quante volte la cronaca ci stupisce! Il grande manager che ruba milioni e la donna delle pulizie che restituisce il portafoglio trovato. Il sacerdote che scandalizza e il carcerato che si converte. Dio ha una matematica diversa, una logica che capovolge.
Non è una minaccia, ma una promessa: nessuno è escluso per sempre, ma nessuno può sentirsi arrivato per sempre. È come una maratona: conta più la costanza che la velocità iniziale. Ho visto corridori partire come razzi e fermarsi al primo chilometro, e altri iniziare piano e tagliare il traguardo con il sorriso.
La bellezza del cristianesimo è questa: non è un club per perfetti, ma un ospedale per feriti in cammino. San Girolamo scriveva: «il giusto cade sette volte al giorno, ma si rialza». Ciò che conta non è non cadere mai, ma rialzarsi sempre.
Vedete, la vita cristiana non è una comoda passeggiata in un ampio viale, ma un sentiero che richiede scelta e sforzo. Sant'Agostino lo dice bene: «Colui che ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te». Dio non ci trascina a forza. Attende il nostro passo, il nostro sforzo d'amore.
E quando le forze mancano, quando la porta sembra troppo stretta, ricordiamoci che non siamo soli. Maria è la Porta del Cielo, la porta attraverso la quale Dio è entrato nel mondo. Lei ha percorso per prima la via stretta dell'amore, dicendo “sì” anche senza capire tutto, camminando nel buio fidandosi della luce. Come mamma che prende per mano i suoi figli, ci accompagna anche lei, per aiutarci a passare attraverso la porta che non conduce alla fine, ma all'inizio della vera vita.
La porta è stretta, ma è aperta. E dall'altra parte c'è Qualcuno che ci aspetta con le braccia spalancate. Amen!