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TESTO Felici di stare con lui

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (24/08/2025)

Vangelo: Lc 13,22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,22-30

In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

“Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Stando alla domanda di quel tale che imbecca Gesù mentre è in cammino verso Gerusalemme (dove tutti, ovviamente, si aspettavano che si sarebbe manifestato come il Messia, il salvatore di Israele), il tema del brano di Vangelo di questa domenica sembra proprio essere questo: chi si salva? O meglio: come si fa a salvarsi? Che cosa bisogna fare per ottenere la salvezza?

Beh, forse prima bisognerebbe cercare di capire cosa si intende per “salvezza”. A me personalmente piace molto l'etimologia latina del termine “salvezza”, ovvero “salus”, intesa come “salute”, come “stare bene”, “sentirsi bene”. Se ottenere la salvezza significa “stare bene”, “sentirsi bene”, allora l'uomo e la donna di fede trovano il loro “stare bene” nel momento in cui “stare con Dio”, che è il Bene supremo, li fa sentire bene. Se stare con Dio mi fa stare bene, mi rende felice, in questo trovo la mia salvezza. Ma se con Dio ci sto male, se la mia vita interiore vissuta nell'ottica della fede non mi realizza e non mi rende felice, non posso dirmi salvato, anche se da cristiano vivo una vita moralmente ineccepibile, fatta di preghiere e di partecipazione alla vita della Chiesa.

Spesso, più che la nostra serenità e la nostra gioia di essere cristiani, sembra preoccuparci di più “chi si salva e chi no”, chi è bravo e chi non lo è, quanti sono quelli che vanno in chiesa e quanti quelli che non ci vanno, come si comportano gli altri e cosa fanno di buono per ottenere la salvezza: proprio come quel tale che chiede a Gesù se saranno molti o pochi quelli che si salvano. La risposta di Gesù è molto bella, anche se un po' enigmatica: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta”. Il suo non è un invito a una vita di fede fatta di sacrifici, sforzi e rinunce: se ci sono anche quelli, ben venga, purché questo renda il mio rapporto con Dio basato sul desiderio di salvezza, ovvero di stare bene con lui. E trovare il modo di stare bene con Dio non è una cosa semplice: richiede un lavoro, uno sforzo, una fatica, come accade ogni volta che andiamo alla ricerca di qualcosa che vale perché è prezioso, e proprio perché è prezioso vale la pena sforzarsi di trovare quel tesoro nel quale (lo dicevamo domenica scorsa) anche il nostro cuore trova la sua dimora.

Quante volte, invece, ci accontentiamo di quelle due o tre cosettine semplici, da cristiani “di nome e di appartenenza” più che da veri credenti in Cristo! Quanto spesso facciamo coincidere la nostra salvezza con l'osservanza minima di alcuni precetti che magari siamo subito pronti a spiattellare in faccia ai fratelli e a Dio stesso per dire “io sono cristiano”! E magari, avanzando anche delle pretese, nei confronti di Dio.

La piccola parabola raccontata oggi da Gesù ci spiega molto bene questo atteggiamento. Un gruppo di “esclusi” dal Regno di Dio si mette a protestare nei suoi confronti, chiedendo che venga loro aperta “la porta stretta”. E di fronte a una negazione del padrone di casa, che si rifiuta di riconoscerli come suoi amici (“Non vi conosco, non so di dove siete”), ecco la loro pretesa di salvezza avanzata attraverso una serie di attributi, titoli, meriti che a detta loro li rende sufficientemente accreditati per ottenere l'ingresso al banchetto del Regno: “Ma come fai a dirci di non conoscerci? Siamo noi, dai, aprici! Abbiamo mangiato e bevuto con te, e tu hai insegnato nelle nostre piazze!”.

Quanta attualità, in questo avanzamento di pretese nei confronti di Dio! Quanti cristiani - o presunti tali - sentiamo oggi ragionare di fronte a Dio con parole simili: “Signore, aprici! Siamo noi! Siamo quelli che mangiano e bevono con te, quelli che partecipano all'Eucaristia, quelli che non hanno mai perso una messa domenicale, quelli che sono cristiani per davvero, quelli che manifestano la loro identità cristiana! Noi abbiamo il distintivo di cristiano, noi ti portiamo nelle nostre piazze, noi appendiamo i crocifissi nelle nostre aule! E tu pure sei venuto nelle nostre piazze, hai condiviso le feste con noi, sei entrato a benedire le nostre case, i nostri negozi, i nostri affari: non puoi lasciarci fuori! Siamo i tuoi fedelissimi, quelli che non ti hanno abbandonato mai! Non è possibile che non veniamo salvati! Perché vuoi lasciarci fuori?”

La risposta del padrone di casa, ossia il giudizio di Dio su di loro, è senza mezzi termini: “Allontanatevi da me, perché siete operatori di ingiustizia! Allontanatevi da me, perché le vostre opere appaiono come buone, ma il vostro cuore è lontano da me. Allontanatevi da me, perché il vostro concetto di giustizia è avanzare delle pretese nei miei confronti, è farmi fare ciò che voi volete fare, è farmi dire ciò che voi volete dire! Voi vedrete entrare al banchetto del Regno coloro che hanno messo me al centro della loro vita, a partire dai patriarchi, fino ad arrivare ai molti giusti che, in ogni tempo e in ogni luogo, pur senza conoscermi così bene come voi, hanno vissuto secondo il mio cuore e secondo la mia giustizia! Coloro che voi ritenevate ultimi, ecco, ora sono i primi ad entrare al banchetto. E voi, convinti di essere i primi, sarete ultimi e ne resterete esclusi. Perché avete basato la vostra salvezza sull'osservanza dei precetti, più che sulla gioia di stare con me e di vedere che altri erano felici di stare con me”.

Dio, un giorno, non ci chiederà quante volte siamo andati a messa, e nemmeno si preoccuperà di quanti eravamo in chiesa: ci chiederà solamente se siamo stati felici di stare con lui, e se abbiamo reso felici anche i nostri fratelli di far parte della famiglia dei figli di Dio. Perché Dio - e lo ripeterò fino alla noia - non ci vuole cristiani perfetti (se ci riusciamo, buon per noi!): lui ci vuole felici di stare bene con lui. La nostra salvezza sta tutta quanta lì.

 

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