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TESTO La verità mi fa male

padre Gian Franco Scarpitta   Chiesa Madonna della Salute Massa Lubrense

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (17/08/2025)

Vangelo: Lc 12,49-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,49-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 49Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

51Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. 52D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

“La verità mi fa male” diceva con amarezza una vecchia canzone. Quasi mai è possibile riferirla o operare in nome di essa senza riscontrare le altrui inimicizie, le contrarietà o almeno le feroci disapprovazioni, perché non sempre è bello per taluni sentirsi “smascherare” o aver detto quello che fondamentalmente corrisponde al vero obiettivo. Soprattutto poi quando essa, per bocca di altri, ci rivela i nostri difetti, i nostri limiti e le manchevolezze che vorrebbero restassero sopite e irraggiungibili a terzi. Ancora più terrificante poi quando ipoteticamente ci si dovesse prospettare un destino nefasto e catastrofico. Chi ce lo vaticinerebbe diventerebbe subito bersaglio di improperi e di ritorsione da parte nostra. Il profeta Geremia alla prima Lettura ha appena concluso di profetare in nome di Dio che la città del re Sedecia è destinata a finire in mano a uno stato nemico (Babilonia) e ha anche invitato i suoi cittadini ad arrendersi a questa prospettiva e a consegnarsi al re avversario. Similmente aveva profetizzato anche nell'immediata precedenza e a motivo della sua schiettezza e perentorietà era finito nell'atrio di una prigione. Adesso la sua parola veritiera di profeta del Signore solleva molta più inimicizia e viene gettato in una cisterna, nella quale sta per affondare nel fango e potrebbe morirvi se il re Sedecia non cambiasse idea facendolo ripescare con le corde.

Il profeta, famoso per le sue lamentele e per i suoi pianti in seguito alle inimicizie che la sua missione gli comporta, ha la sola colpevolezza di annunciare quello che Dio gli indica, non può non parlare con linearità e precisione, deve per forza essere categorico e non può disattendere l'annuncio della verità. A volte vorrebbe trattenersi, non parlare più nel nome del Signore, ma “qualcosa nell'intimo” lo invita a non desistere e lo convince a persistere nel suo ruolo di annunciatore della vera parola divina (Ger 20, 9). “E' meglio soffrire facendo il bene che operare il male, se così vuole Dio” affermerà poi Pietro (1Pt 3, 17) e questo concetto applicato alla verità diventa ancora più significativo: essere perseguitati, scherniti, derisi per affermare la verità e per invitare alla coerenza è molto più meritorio che proferire una sola menzogna o darsi alla falsità.

L'impegno per la verità richiede coraggio, motivazione e coinvolgimento, ma tali prerogative vanno sempre esercitate perché non prevalga la bugia e la doppiezza. Anche a costo di scontri e di sopraffazioni, quello che è giusto e fondato va sempre detto e anche adesso non possiamo che ammirare la tenacia di tanti pontefici che hanno saputo sottoporsi a contestazioni, avversioni, feroci recriminazioni, accettando ogni vessazione pur di riaffermare la consistenza del vangelo. Ammirazione e riconoscenza va rivolta a tutti i missionari e agli evangelizzatoti che nei paesi d'intolleranza religiosa corrono il rischio costante di essere uccisi a motivo dell'annuncio che recano nelle terre missionarie in cui risiedono. Non pochi fra religiosi, sacerdoti, missionari, sono stati barbaramente uccisi per aver annunciato l'unica via, verità e vita che è Cristo.

Questi dal canto suo ora constata un'amara verità: nonostante i suoi desideri siano sempre stati quelli di apportare l'unità e la concordia fra gli uomini, avviene invece che nel suo nome si verificano non di rado contrasti, divisioni e fazioni. Gesù è infatti “segno di contraddizione”, elemento di disunione. Pur essendo artefice di salvezza e di comunione, diviene oggetto di conflittualità e di divergenze anche nelle relazioni più intime quali “Padre contro figlio, figlio contro padre. Madre contro figlia e figlia contro madre”. Fra coloro che lo accolgono e coloro che lo rifiutano si generano contrasti e acrimonie, perché la sua stessa figura e il suo messaggio rivelano il vero e il falso, il giusto e l'iniquo, la verità dalla menzogna e d'altra parte egli stesso ha detto “Chi non è con me è contro di me”(Lc 11, 23).

Ci si domanda però il motivo per cui non si vuole accogliere Gesù come la verità in assoluto e perché non vi sia ancora quell'adesione piena a lui che scongiurerebbe l'effetto non desiderato della guerra e della divisione nel suo nome, che hanno segnato anche non poche belligeranze sanguinose. Nel nome di Cristo ci si è anche uccisi e si sono verificati scontri fra opposte fazioni. Dostovijevskyi diceva che “se mi dimostrasse che la verità e Cristo non sono la stessa cosa, io resterei con Cristo e non con la verità”; perché allora ci si ostina a respingere Gesù oppure a non accoglierlo nella sua forma totalizzante, ma solamente accettando ciò che di lui più ci fa comodo? La risposta è sempre la stessa: la verità ci fa male. Soprattutto quando questa comporti l'umiltà della conversione per la fede.

 

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