TESTO Commento su Luca 12,13-21
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XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (03/08/2025)
Vangelo: Lc 12,13-21

In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura delle Clarisse di Città della Pieve
«Saziaci al mattino con il tuo amore».
Fratelli e sorelle, la nostra odierna riflessione sulla Parola prende l'avvio dal Salmo responsoriale. Esso ci pone nella posizione giusta dinnanzi a Dio: quella di figli che sanno di ricevere tutto dal suo amore di Padre. Nel suo amore c'è sovrabbondanza di tutto quello di cui abbiamo bisogno per avanzare confidenti e lieti nel nostro cammino sulla terra. Questa è la speranza! “Sorella minore” dell'altra grande virtù, la fede, che è sempre il Salmo di oggi a presentarci e a mettere sulle nostre labbra: «Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione». La fede infatti si fonda sulla memoria di un'esperienza di grazia che i figli di Dio continuamente fanno in Gesù Cristo: è Lui il nostro cibo, l'oggetto del nostro desiderio di salvezza e, al contempo, già la nostra sazietà, poiché Egli è la salvezza, che ci ha donato con la sua passione, morte e resurrezione.
La Madre Chiesa definisce così la speranza: «è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull'aiuto della grazia dello Spirito Santo (...)» (CCC 1817). E più avanti prosegue definendo in antitesi la presunzione, uno dei peccati contro la speranza dove «l'uomo presume sulle proprie capacità» (Cf. CCC 2092).
Con queste necessarie premesse, passiamo ora al Vangelo. Oggi con Gesù incontriamo due uomini anonimi: uno tra la folla e l'altro protagonista della sua parabola.
Il primo interpella il Signore perché chieda al fratello di dividere con lui l'eredità. Quanto stona questa richiesta con la preghiera che ci ha insegnato il Maestro proprio nel Vangelo di domenica scorsa: «Padre nostro». In Gesù siamo figli dell'unico Padre, perciò fratelli e sorelle tra di noi. Siamo quindi chiamati alla comunione con Dio e tra di noi nella concretezza della condivisione, del dono, della partecipazione, dell'incontro e del dialogo. Dentro l'armonia della fraternità a cui lo Spirito ci spinge, quanto stona la richiesta di quest'uomo: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità». Costui cerca in Gesù un “avvocato” che gli renda giustizia. Ed inoltre associa al termine “fratello” il verbo “dividere”: quando Cristo ci ha insegnato che i fratelli condividono.
Carissimi, l'uomo di oggi non ha un nome, ma ha un fratello. Chissà, forse il nome possiamo darglielo noi? Quante famiglie sicuramente conosciamo dove i fratelli si dividono, si odiano e si fanno guerra per questioni di eredità! Non ci sia per esse il nostro giudizio: ma la nostra compassione, che è ciò che ci rende veramente simili a Gesù che nell'errore dell'uomo trova sempre l'opportunità per insegnare, per correggere... per salvare. Come fa anche con la parabola di oggi, dove incontriamo un uomo ricco, “fortunato” per il mondo ma stolto presso il Cielo, poiché confida sulle proprie forze e non sulle promesse di Dio.
Una stoltezza che, rafforzativo di presunzione, può diventare per l'uomo pietra d'inciampo nel suo pellegrinaggio di speranza e nel cammino verso il cielo. Quest'uomo avaro ha come metro e criterio della sua vita se stesso, e come meta la vita terrena. Infatti parla: ma solo con se stesso; progetta: ma solo per se stesso. Una grande infelicità e un'altrettanta solitudine avvolgono costui, anticipo di una profonda disperazione che rischia di colpirlo presto. Sì, il nostro Salvatore lo raggiunge proprio li: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». Non segue una risposta a questa domanda: resta aperta, provocando un senso di salutare angoscia. Salutare, sì! Poiché la grazia può erompere proprio qui, in questa espressione “Stolto” che suona come un tuono, ed essere per quest'uomo distratto dalle cose di lassù uno svegliarlo all'evidenza dello strappo ormai prossimo della morte.
Ed ora, torniamo all'uomo anonimo della folla, oggetto nella sua stoltezza della cura di Gesù Cristo.
Carissimi, la domanda di Dio a Caino «Dov'è tuo fratello?» (Cf. Gen 4,9) non risuona solo nei contesti di guerra e nelle grandi pagine nere della storia dei popoli, ma anche nelle nostre umili case. Ciò che infatti ci fa veramente ricchi già adesso e che la morte non ci strapperà sono proprio i nostri fratelli e le nostre sorelle, poiché dove è il «Padre nostro», lì sono anche i fratelli che si amano: «nei cieli».