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TESTO Tra il sistema operativo dell' avere e quello dell' essere

don Andrea Varliero

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (03/08/2025)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,13-21

In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Trascorro parte delle mie giornate davanti ad un computer o ad un cellulare, davanti ad un sistema operativo. È lui che mi struttura, che mi orienta su cosa acquistare, che mi mette in primo piano certe prospettive e me ne nasconde altre, è lui a instillare in me dei bisogni, come cittadino e come acquirente. È lui che mi impigrisce, ormai mi offre subito anche il riassuntino senza più bisogno di continuare a cercare, e a ricercare. Il sistema operativo più facile, più pigro, più veloce, più seducente: ecco, quello va bene. Ormai di sistemi ne sono rimasti davvero pochi, non riesco a completare le dita di una mano, eppure non è sempre stato così. Agli inizi degli anni Duemila ne era emerso uno che portava un nome strano: «Ubuntu». Un sistema operativo informatico aperto, in cui ognuno poteva condividere con gli altri le risorse digitali, per creare un infinito mondo di connessioni. «Ubuntu», parola e filosofia proveniente dall'Africa: solo per questo destinato al fallimento. Nel nostro sistema operativo, nel pensiero occidentale, un individuo è un essere autosufficiente, separato, indipendente dal resto della comunità o della società. Un foglio bianco su cui digitare una parola di solitudine, che confermi la mia solitudine. Nel pensiero Ubuntu, invece, la persona è definita unicamente in termini di relazioni con gli altri nella comunità: «Una persona è una persona attraverso le altre persone». Io sono relazione, e la relazione è la mia identità.

Oggi, nel Vangelo, davanti ad una richiesta del tutto attuale, che ancora la stragrande delle famiglie vive; davanti alla richiesta per cui non ci si parla da anni, per cui si è sbattuta la porta in faccia ai propri fratelli e sorelle, con un senso di ingiustizia che porteremo per tutta la vita; davanti alla richiesta di dividere equamente l'eredità, Gesù installa un nuovo sistema operativo. «Anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Devo lottare contro questo nuovo sistema operativo, lo ritengo dannoso, impossibile, virale. La mia vita chiede invece che io pensi a me stesso, tanto nessuno penserà a me. La mia vita chiede un minimo sindacale di serenità, anche economica, non posso dilapidare quello che possiedo. La mia vita merita una conferma, un appagamento, una scarica di serotonina per un ulteriore acquisto o per un «like» al mio commento. La mia vita.

E il Maestro di umanità, il Maestro di coscienza, apre la pagina di una storia, di una parabola. Diventa narratore per non puntare il dito, per non ferire né sentenziare, ma per innescare un primo passo, per porre dentro di me una domanda. La storia di un uomo ricco, soddisfatto, sazio di ricchezza, abbondante di tutto, tanto che deve allargare l'impresa. Quell'uomo è senza nome: il denaro ne ha mangiato l'anima, si è impossessato di lui, il denaro è diventato la sua stessa identità. È solo un uomo ricco. Ed è un uomo solo: nessun figlio, nessun amico, nessuna donna, nessun altro attorno a lui, nessun «tu» a cui rivolgersi. Tutte le porte sono chiuse, nessuna breccia, nessun abbraccio. Ed è già morto ancora prima di morire, non si riesce a respirare in una casa dalle finestre e dalle porte sprangate. «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta indietro la tua vita»: quell'uomo ha già allevato e nutrito la morte dentro di sé, con le sue scelte. La morte ha già fatto il nido nella sua casa.

Perché la nostra vita non dipende dai nostri beni, non dipende da ciò che abbiamo, ma da ciò che doniamo. La vita vive di vita donata. Noi siamo ricchi unicamente di ciò che abbiamo donato. Tutto sembra contraddire Dio, la sua parola: frontiere, ricchi sempre più ricchi, dazi e magazzini, utili e profitti, patrimoni che escludono sempre di più, la prima classe dei potenti e la stiva di chi non vale più niente. Eppure, chi mi è rimasto nel cuore, chi è stato essenziale alla vita, è chi ha saputo essere dono. I momenti più belli, durante un ultimo saluto, li ho vissuti con chi ha saputo, anche nel poco, vivere la vita come un dono. Chi ha lasciato cose, queste sono state fonte di lacerazioni, di ingombro, hanno fatto vuoto attorno. Vanità delle vanità, tutto è niente, tutto è fragile, tutto è senza senso, tutto muore, senza di Lui, che è dono. Nella bilancia della vita, tra il peso del verbo avere e il peso del verbo essere, il Signore ci chiama all'essere, alla vita. A dare peso e valore a quello che siamo. Allora, proverò a coniugare il verbo «essere» prima del verbo «avere», proverò a riformulare la vita stessa: non «io ho» una vita, ma «a me è stata data» una vita.

 

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