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TESTO La fede non chiama sudditanze, chiama libertà

don Angelo Casati   Sulla soglia

VII domenica dopo Pentecoste (Anno C) (27/07/2025)

Vangelo: Gv 6,59-69 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao. 60Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». 61Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? 62E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? 63È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. 64Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».

66Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. 67Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». 68Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna 69e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

"Sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrei, nel cui territorio abitate" parole di Giosuè alle tribù convocate in Sichem. "Noi serviremo il Signore, nostro Dio, e ascolteremo la sua voce!": risposero. "Scegliete". E, quasi a eco, le parole di Gesù ai dodici nella sinagoga di Cafarnao dopo che molti se ne erano andati: "Volete andarvene anche voi?". La parola viene a noi, chiamati oggi a scegliere chi servire, se andarcene. Voi mi capite siamo in causa noi, non possiamo defilarci. Servire? E già il verbo mette scompiglio, perché se lo usi per Dio è un conto, se lo usi per gli dei dell'oltre Fiume è un altro.

Si capovolgono gli orizzonti. Gli dei dell'oltre Fiume hanno la faccia del faraone: sono quelli che attentano alla tua libertà, si circondano di cortigiani, spadroneggiano su tutti e su tutto, per loro conta il potere, essere osannati, un'ubbidienza cieca e assoluta; un regime abilmente orchestrato, scenografico ma vacuo, se lo denudi del suo scintillio, ti si svela per come è: un impazzimento da idoli. Ebbene gli idoli nel tempo hanno proliferato, si sono moltiplicati e non sempre ce ne siamo accorti: il rischio è di vivere talvolta in un regime di schiavitù. La Bibbia mette in guardia: Giosuè sa che il suo popolo ne subirà seduzione e contagio. Mi si affacciano parole di salmi, a disincanto: maschere vuote, l'ossessione è apparire, un'ossessione che sembra aver contagiato un tempo come il nostro, in cui, se non appari, non sei. Sferzante il salmo 135 con chi ne è schiavo:

I loro idoli sono argento e oro,
opera delle mani dell'uomo.
Hanno bocca e non parlano,
hanno occhi e non vedono,
hanno orecchi e non odono,
hanno narici e non odorano.
Le loro mani non palpano,
i loro piedi non camminano;
dalla loro gola non escono suoni!
Diventi come loro chi li fabbrica

e chiunque in essi confida!

Proprio a queste parole del salmo andavano alcune riflessioni con un caro amico in questi giorni. Poi una sospensione. E lui a farmi notare che oggi purtroppo hanno bocca e parlano, hanno occhi e vedono, hanno orecchi e odono, hanno narici e odorano; le loro mani palpano, i loro piedi camminano; dalla loro gola escono suoni!

Ecco, penso che non siamo al riparo da seduzione: il Signore dia luce ai nostri occhi, coraggio alle nostre scelte, fedeltà alle parole abitate dal soffio, dal soffio dello Spirito, parole di vita. E non è questo che spesso abbiamo dimenticato o velato? Che le parole di Dio sono per la vita, contro un regime di servitù e che il servire Dio è sposato non alla dominazione, ma alla libertà? Se poi ti addentri nel Nuovo Testamento il verbo 'servire' conosce declinazioni inimmaginabili; basta che pensiate alle parole di Gesù: "Non vi chiamo più servi ma amici" o a quelle sull'aldilà e lui a dire di quando saremo a tavola e sarà lui, il Signore, a passare a 'servire'. E sono al vangelo di Giovanni e il cuore non mi si stacca dagli occhi tristi di Gesù.

Non poteva che essere triste quel giorno nella sinagoga di Cafarnao. Non era bastato dire loro ciò che avrebbero perduto andandosene: "Le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita". Reazione: "Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: "Volete andarvene anche voi?"". Scompiglio i pensieri: mi nasce una domanda su quelli che se ne sono andati via da Gesù o se ne stanno andando e su di me che dico di non essermene andato. E mi prende un dubbio che non pochi se ne siano andati perché il Gesù che è stato loro raccontato non era il Gesù di Cafarnao, uno che, se lo vedi, è spirito, soffio, leggerezza, libertà, cammino, passi, sconfinamenti, amore, uno che è tenerezza, sguardo di misericordia.

Non sono pochi quelli che se ne sono andati per una fede che non era una persona, era indottrinamento, formule di un catechismo, precetti che toglievano fiato, pratiche che scivolavano nella noia, parole mummificate, persino stravolte. Oggi vedo ritorni e mi commuovo: accade quando a Gesù viene restituito il suo volto, i suoi occhi, la sue mani, i suoi passi, la sua tenerezza. "Le mie parole sono spirito e sono vita": soffio che fa sussultare la vita. Mi ritornano ora parole di un regista, Martin Scorsese, che, conversando lo scorso anno con padre Antonio Spadaro su fede e non fede, confessa: "Crescendo nelle strade, ho cominciato a capire che avere fede non era una cosa da vivere solamente all'interno della chiesa: non hai fede dentro la chiesa, dentro l'edificio e poi, invece, quando vai in strada è diverso. Non è così: deve essere vissuta nella vita quotidiana.

Bisogna lavorare sull'imitazione di Cristo al di fuori del perimetro della chiesa. Ecco, vivevo in tensione tra la strada e la chiesa". La fede chiama strada, perché chiama vita, non chiama sudditanze, chiama libertà. Ed ora, per una connessione d'azzardo, forse solo frutto di una mente sognante, da un regista passo a un altro regista: forse è solo bisogno di comunicare frammenti di bellezza. Indimenticabile regista, scrittore, poeta, commediografo, Cesare Zavattini, morto 35 anni fa, negli anni ottanta andava per scuole a parlare di pace. In questi giorni "L'Osservatore romano" pubblicò stralci dei suoi scritti. A conclusione di uno di questi - parole ingualcibili - scrive: "Sono stato in una scuola della borgata San Basilio di Roma e ho imparato qualche cosa. Hanno parlato della pace autorevoli persone con spregiudicatezza.

Un bambino ha detto e scritto semplicemente: la pace è libertà di non essere comandato".

 

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