TESTO Guai a te se non ti fermi da noi, Signore!
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (20/07/2025)
Vangelo: Lc 10,38-42

In quel tempo, 38mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Quando ascoltiamo questo famoso e simpatico brano di Vangelo della casa di Betania (anche se Luca parla solamente di “un villaggio”, ma tutti sappiamo dove abitavano queste due sorelle), troppo spesso facciamo delle letture semplicistiche: Maria è la più brava nel riconoscere il Signore, mentre Marta ha il pensiero distolto da altre cose meno importanti; la contemplazione è più importante dell'azione; la preghiera e l'ascolto della Parola valgono di più delle opere di carità; è meglio affannarsi per essere discepoli di Gesù che affannarsi per le preoccupazioni quotidiane, e così via. Insomma: Maria è la vera discepola di Gesù. Poi, però, leggendo il Vangelo di Giovanni, ci accorgiamo che in un momento di prova come quello della morte del fratello Lazzaro è Marta che per prima va incontro al Signore e pronuncia su di lui una delle più belle professioni di fede del Vangelo; e fino a quattro anni fa, quando papa Francesco ha esteso la memoria liturgica anche ai suoi due fratelli, il calendario liturgico al 29 luglio venerava solo santa Marta... e non Maria. Chi sarà, delle due, la vera discepola del Signore? La Marta indaffarata o la Maria contemplativa?
Forse non è questo il termine della questione. Non conta chi, tra i discepoli del Signore, sia il migliore: ciò che conta è l'incontro con il Signore, e la nostra capacità di riconoscerlo e accoglierlo nella nostra vita. E questo avviene per ognuno di noi in maniera differente. A volte avviene “in fretta”, come per Abramo; altre volte “agitandoci” come Marta, perché il nostro cuore sia ben disposto ad accoglierlo; in altri momenti, invece, avviene nel modo “migliore” possibile, facendo silenzio, come Maria, “seduti ai piedi” del Maestro, lasciando che sia lui a parlare e a farla da protagonista.
Sono molti i modi dell'ospitalità, e il Signore si compiace di ognuno di essi, perché vede che tutti hanno capito la lezione dell'uomo che si fa prossimo a chi è nel bisogno, in questo caso al pellegrino, che nella tradizione biblica, è simbolo dell'uomo bisognoso di cure e di accoglienza il quale, se accolto in maniera disinteressata, è capace di ricompensare chi gli apre la porta della sua tenda.
Ne sanno qualcosa Abramo e Sara, che di fronte ai tre pellegrini non si curano né del caldo afoso né della precarietà di un accampamento di nomadi, e in fretta offrono tutto ciò di cui un pellegrino ha bisogno: acqua, cibo e riposo. A loro, in cambio, viene donato parecchio: ciò che avevano sperato lungo tutto una vita, il compimento di una promessa fatta a più riprese e mai realizzata, ovvero la nascita di un figlio. Ne sanno qualcosa Maria di Betania, appunto, alla quale il Maestro accolto come pellegrino regala il privilegio di essere considerata, lungo i secoli, l'immagine della discepola prediletta, che ad ogni cosa della vita antepone l'ascolto della sua Parola, e suo fratello Lazzaro, il quale diverrà protagonista, a sua insaputa, del più grande segno compiuto da Gesù nel Vangelo di Giovanni.
E alla brontolona Marta, talmente diretta nel suo parlare che al Signore dice, senza mezzi termini, “non t'importa nulla di me”? A lei, quel giorno, in apparenza è arrivato solo un affettuoso rimprovero di Gesù: più tardi, però, poco prima della resurrezione di Lazzaro, di fronte alla sua professione di fede nella resurrezione finale (“so che mio fratello risusciterà nell'ultimo giorno”), Gesù le farà dono di una rivelazione di altissimo livello, qualcosa che forse a nessun discepolo e a nessun teologo è mai stato rivelato circa il Figlio di Dio: “Io sono la Risurrezione e la Vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà”.
Questo è ciò che succede a chi accoglie il Maestro Pellegrino, bisognoso di cura e di attenzione: avrà vita, vita in abbondanza, vita da trasmettere, e sarà capace di generare vita anche da apparenze di fallimento e di morte. Dio passa nella nostra vita, sotto forme spesso a noi incomprensibili e in modi che a noi risultano essere poco evidenti: riconoscerlo in quei momenti è senz'altro anche questione di fede, ma è soprattutto una questione di generosità.
La stessa generosità di Abramo, che non sta a chiedersi cosa vuole Dio da lui, perché sa che Dio è Grazia, e che sarà Dio stesso a fargli dono di ciò che egli più desidera; la generosità di Marta, che non solo non fa silenzio di fronte al Maestro, ma addirittura lo rimprovera di non accorgersi di lei, donna ansiosa, premurosa e - come milioni di donne in ogni tempo e in ogni luogo - lasciata sola nel portare il peso di una casa e di una famiglia. Neppure il Maestro sta zitto, di fronte alle sue provocazioni, e le dice senza mezzi termini che non ha ancora capito ciò che conta veramente nella vita: poi però si mostrerà a lei con tutta la potenza del Signore della Vita, più forte anche di un sepolcro maleodorante chiuso già da quattro giorni, di un sudario, e di avvolgenti bende di morte.
Ma Marta non molla: l'ultima mossa vuole averla lei, sei giorni prima della Pasqua, quando, sempre a Betania, sua sorella Maria, mistica e contemplativa più che mai, ungerà per la sepoltura il corpo del Maestro, e lei, questa volta senza dire nulla - avrà forse imparato la lezione? - offrirà a lui, per l'ultima volta, una cena tra amici. Perché non sia mai che Dio “passi oltre senza fermarsi dalla sua serva”.