TESTO Chi è il mio prossimo? Chi ti si fa prossimo!
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (13/07/2025)
Vangelo: Lc 10,25-37

In quel tempo, 25un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
È tipico di chi insegna volere o dovere “mettere alla prova”. Del resto, fa parte del compito dell'insegnante “mettere alla prova” gli alunni, assegnare loro delle prove, dei compiti, per verificare la loro preparazione. Dall'esito della prova si può ovviamente valutare il grado di comprensione rispetto all'argomento trattato, così come la capacità dell'insegnante di trasmettere nozioni. È quindi plausibile che un dottore della Legge come quello che appare nel Vangelo di oggi si presenti con l'intenzione di “mettere alla prova” Gesù riguardo alla Legge e ai Comandamenti: se questo è davvero un maestro come dice di essere, io che sono custode della Legge data da Dio a Israele ho tutto il diritto di valutare il suo grado di preparazione. Senza mai pensare che quella domanda, “Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”, potesse rivelarsi una spada a doppio taglio. Perché alla fine chi viene messo alla prova, chi viene interrogato, è lui stesso: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”, ovvero come interpreti ciò che vi è scritto? A tuo favore o a favore della lode a Dio e del bene del suo popolo che egli ti ha affidato? Insomma, cosa dice la Legge di cui tu sei dottore e sulla scorta della quale metti alla prova il popolo di Dio?
Beh, in questo il dottore vince facile. Nessuno meglio di lui sa la risposta: per avere in eredità la vita eterna, occorre seguire i comandamenti di Dio, i quali si concentrano nello Shemà, Israel, la preghiera fondamentale del pio ebreo, che invita ad amare Dio con tutto se stessi (cuore, anima, forza e mente) e il proprio prossimo come se stessi. E Gesù concorda con lui: “Hai risposto bene; fa' questo e vivrai”. Che bisogno hai di mettermi alla prova o di voler sapere da me se io sono in grado di dirti quale sia la volontà di Dio?
E qui, il dottore della Legge mette a nudo i propri limiti: non sa chi sia il suo prossimo. Ma non vuole fare la figura di non sapere cosa dice la Legge riguardo al prossimo; e allora, rivolge la domanda al Maestro per giustificarsi della domanda precedente. Della serie: io ti ho fatto questa domanda perché voglio sapere da te, Maestro, chi è la persona a me prossima, che devo amare come me stesso, di modo che, amandolo, possa ottenere la vita eterna. Questo, la Legge non me lo dice in maniera chiara: a volte è il più vicino a te, a volte il connazionale che conosci e che soffre, a volte l'orfano, a volta la vedova, a volte il forestiero, a volte il lavoratore che fatica per sostenere la sua famiglia e i proprio diritti. Chi, fra tutti questi, è il mio prossimo?
Gesù prende in contropiede il dottore della Legge, e gli dice che prossimo può essere anche un malcapitato che, percorrendo la pericolosa strada da Gerusalemme a Gerico, incappa nei briganti che lo lasciano mezzo morto. Salvo poi accorgersi che su quella strada che da Gerusalemme scende a Gerico ci passiamo tutti, ma proprio tutti; salvo poi comprendere che i malcapitati siamo noi; salvo poi vedere che chi ci è prossimo non è chi ha bisogno di noi, ma - al contrario - colui di cui noi abbiamo bisogno, “colui che ha compassione di noi”. Lui sì, ci vede e ci soccorre, e ci fa capire che avere fede non significa solamente amare Dio e gli altri, come se Dio e gli altri avessero bisogno di noi; avere fede significa lasciarsi amare da Dio e da chi si fa prossimo a noi, del quale abbiamo bisogno anche quando il nostro orgoglio e le nostre sicurezze che ci derivano dalla conoscenza della Legge faticano ad ammetterlo.
Perché su quella strada che dalla Gerusalemme Santa ci porta alla Gerico adultera e peccatrice siamo tutti incamminati, senza distinzioni: peccatori e santi, giusti e iniqui, dottori e ignoranti, giudei purosangue e samaritani stranieri a cui non daremmo un soldo e dei quali mai potremmo fidarci, mentre invece sono proprio loro a prendersi cura di noi. È sconvolgente pensare come il nostro prossimo non sia innanzitutto il malcapitato da assistere, perché i malcapitati siamo noi! E chi ci è prossimo è “un samaritano”, uno che non è dei nostri, uno straniero, uno senza tutto quel bagaglio della Legge di Dio che invece noi riteniamo di avere in abbondanza... Del resto, chi pensa mai di avere bisogno di uno straniero? Anche qualora fossimo noi i malcapitati, sicuramente troveremmo chi ci è prossimo, ovvero i nostri: qualche sacerdote, qualche levita, qualcuno che torna come noi dal tempio, qualcuno che ha fede come noi e che crede le stesse nostre verità! E invece... proprio loro passano dall'altra parte, tirano dritto... perché non hanno tempo da perdere con noi! Hanno molte cose da fare, molte preghiere da dire, e poi si sono appena purificati al tempio, mica possono farsi prossimi a noi e contaminarsi con le nostre ferite!
“Invece un Samaritano”, che di sicuro non veniva dal tempio - dato che non è credente né praticante - vedendoci ha compassione e ci si fa vicino, si fa prossimo a noi. Lui, l'escluso dalla salvezza, il disprezzato, il lontano da Dio, si fa vicino agli uomini: proprio come quell' “uomo dei dolori che ben conosce il patire”, quell'uomo “disprezzato e reietto dagli uomini” che si è fatto prossimo e vicino a noi. È Lui che sulle nostre ferite ha versato - anticipo dei Sacramenti - l'olio della consolazione e il vino della speranza; è Lui che ci pone sulla sua cavalcatura e ci fa entrare sicuri in una Gerusalemme di pace, come egli, uomo di pace, farà a Pasqua; è Lui che ci affida alla Chiesa, comunità di credenti, perché abbia cura di noi fino al suo ritorno.
E allora, “chi è mio prossimo?”. È Colui che ha compassione di me. È Cristo Buon Samaritano, che ancor prima di essere da noi amato vuole che ci lasciamo amare da lui; egli, lungo l'insidiosa strada che scende da Gerusalemme a Gerico, non ha il volto del benpensante, del santo e del perfetto conoscitore della Legge, ma quello del povero e dell'emarginato; lui non ha bisogno di noi, vuole anzi aiutarci a comprendere che siamo noi ad avere bisogno di lui, perché il prossimo è lui.
Alla fine, non saremo noi a farci prossimi per salvare gli emarginati e gli oppressi; saranno loro, i più bisognosi, a salvarci dalla nostra autosufficienza e dal nostro presuntuoso perbenismo.