TESTO Il grido e il soffio
don Angelo Casati Sulla soglia
IV domenica dopo Pentecoste (Anno C) (06/07/2025)
Vangelo: Mt 5,21-24

«21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
23Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono».
Incrociando queste letture, la mia prima reazione sarebbe stata quella di proporre che nelle chiese oggi all'omelia si rileggesse il testo di Abele e Caino, si ascoltasse il grido del sangue e si facesse silenzio. Poi si rileggessero le parole di Gesù: "Lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono". E si uscisse tutti di chiesa. Interrotta l'Eucaristia, da riprendere a riconciliazione avvenuta. Ma poi quando saremmo ritornati? E il gesto ci avrebbe schiodati da questa deriva? Avrebbe schiodato tutti coloro per i quali il sangue è senza grido? "La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!". "Grida" - è scritto - è un urlo.
Ho pensato allora di aggiungere a commento qualche suggestione; poi voi di certo ne aggiungerete altre, preziose. Fa' il cuore sospeso la domanda: "Dov'è Abele, tuo fratello?". "Fratello", ritroviamo la parola "fratello", questa volta allargata, nel brano di Matteo: "Va prima a riconciliarti con il tuo fratello". Parola da subito sfregiata: negata la bellezza di avere un fratello. E chissà - come al solito vado fantasticando - chissà se Adamo ed Eva a quei due figli avevano fatto osservare a sorpresa - lezione per tutti i tempi - che quell'unico pane, quando lo si spezzava, aveva fragranza inimmaginabile, come un profumo nuovo. Bellezza spezzare insieme la vita e l'altro risorsa e benedizione. Anche se i genitori e la casa e i campi non saranno più solo tuoi, ma da spartire. Potersi guardare ad altezza d'occhi, e non uno sopra l'altro, guardarsi e sentirsi custoditi negli occhi dell'altro.
"Sono forse io il custode di mio fratello?" Sì, lo sei: custode, guardiano, il guardiano, uno che ha occhi a custodia. Ma il delirio del tutto mio, la visione dell'altro come antagonista, l'impazzimento del successo e dell'interesse sono come accovacciati in noi. E accade che prevalgano, dal principio; e il male trapassa i secoli e sporca l'oggi. E può sporcare la parola fratello sino all'aggressione, sino al fratricidio, sino al sangue che urla dalla terra. Sporcare la parola fratello. Perdonate, è un dettaglio, piccolo, ma racconta. Accadde in una scuola elementare anni fa - oggi le chiamiamo primarie -: gli scolari 10 anni, in classe quel mattino stanno parlando di fratelli; uno di loro interviene nella discussione, dice: "Io sono fortunato perché sono figlio unico e l'eredità sarà tutta per me".
A dieci anni, a volte si parte di lì, da un minimo di anni. E allora pensate all'importanza di una scuola, e non solo di una scuola, di una famiglia, di una società che si danno carico di insegnare le cose elementari e tra le cose elementari, importanti, primarie, mettono la parola "fratello" e "custodia del fratello": ti sta a cuore l'altro. "I Care" era il messaggio che campeggiava su una parete della povera scuola di Barbiana, la scuola di don Lorenzo Milani. "I care": mi sta a cuore. Anche oggi ci sono scuole dove si insegna la bellezza della fraternità contro il delirio dell'io. Vorrei ringraziare chi silenziosamente ogni giorno esercita questo magistero. Ringraziare e benedire. Facendo ritorno al brano della Genesi vorrei dirvi che leggendo mi è venuto spontaneo un accostamento da brivido: il sangue che grida dalla terra e il nome di Abele, che significa "soffio", il grido e il soffio, la mano si è alzata contro il soffio, il soffio di vita che abita ogni essere ed è da custodire.
Mi riviene una immagine, quella di un monaco che nel buio della chiesa di un monastero nel primo mattino accendeva lumi alle icone, passava proteggendo con tenerezza tra le mani il suo piccolo lume, perché non si spegnesse e la mano esitante sfiorava la soglia del Santo. Così deve essere custodito l'altro, il soffio che lo abita. E non basta non uccidere o meglio l'uccisione accade prima - dice Gesù - quando l'altro lo hai ucciso dentro, quando gli hai tolto ogni valore: "Chi poi dice al fratello: "Stupido", dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: "Pazzo", sarà destinato al fuoco della Geènna". All'origine di ogni omicidio, di ogni fratricidio, di ogni genocidio, di ogni eccidio sta il disprezzo.
Come allude la parola "disprezzo", il non prezzo. Tu non hai valore, di te posso fare ogni cosa, posso disporre, posso deportarti, posso alzare la mano e quant'altro contro di te. E sono macerie. E' inverno. Anche se è maggio, anche se è luglio. Era il 31 maggio quando Chandra Livia Candiani, carissima amica, dedicava questi suoi versi. Versi dedicati, e lo sono anche oggi che è luglio. Chissà che siano i poeti ad aprirci gli occhi sulle mani alzate per delirio, sull'inverno in umanità.
Ecco i versi dedicati:
"L'inverno di maggio
il cerchio stretto alla testa
dello sfacelo, lenzuola bianche
versano i corpi affamati
nell'eterno riposo.
La calce del terrore
nello sguardo dei sopravvissuti
seduti sulle macerie
a leggere pacatamente il vuoto,
il presente non è più presente.
Vi dedico tutto,
ogni frammento di splendore,
chi soffre quando soffro?"
Mi si perde il cuore: chi soffre quando soffro? Il cuore mi si perde come smarrito alla mano alzata, alla calce del terrore. Al contrario riprende a pulsare, piange di commozione e dedica ogni frammento di splendore alle mani abbassate. Mani che ho viste da lontano: mani di donne e uomini che, tra le macerie di una Striscia, quasi esitando scavavano e aprivano fessure là dove pietre avrebbero potuto nascondere il soffio.
Come se venerassero, come se fossero alla soglia del Santo.