TESTO La forza della comunione per perseverare nella fede in Cristo
Santi Pietro e Paolo Apostoli (Messa del Giorno) (29/06/2025)
Vangelo: Mt 16,13-19

13Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Oggi celebriamo la partecipazione al mistero della morte e risurrezione di Gesù, contemplando la testimonianza di santità degli apostoli Pietro e Paolo.
Meditando le prime due letture, immedesimiamoci “in prigione”, insieme a loro!
Pietro fu messo in prigione a Gerusalemme, secondo il racconto di Atti degli Apostoli (cfr. At 12,1-11). Il re Erode Agrippa I, nato al tempo della nascita di Gesù, riuscì a governare l'intero territorio dell'antico Israele dal 41 al 44 d.C. Perseguitò la comunità cristiana di Gerusalemme, per trovare il favore delle autorità religiose del giudaismo. Durante quella persecuzione, l'apostolo Giacomo, figlio di Zebedeo, subì il martirio (anno 42). Pietro si trovava a Gerusalemme e fu arrestato, anch'egli si trovava in grave pericolo di morte.
L'autore del secondo libro di Timoteo immagina Paolo condotto a Roma, prigioniero, pronto ad affrontare il martirio (cfr. 2 Tm 4,6-8).
Pietro e Paolo furono messi in prigione perché «eravamo perseguitati per la giustizia del Regno dei cieli» (Mt 5,10).
Gli apostoli Pietro e Paolo, in linea con l'insegnamento delle Beatitudini, non soffocarono la fiamma viva della speranza, pur sapendo che la scelta di essere discepoli missionari di Gesù Cristo significava sopportare persecuzioni, perché le forze del male, strutturate a difesa degli interessi dell'egoismo umano, intralciano la vita di chiunque voglia essere misericordioso, puro di cuore e promotore di pace in nome della gratuità dell'amore divino. Pietro e Paolo, come tutti i martiri, erano pronti ad affrontare la morte senza rinnegare la loro fede in Cristo morto e risuscitato.
Ma da dove veniva tutto questo coraggio di sopportare carcere, persecuzione e sofferenza per il Regno di Dio Padre, dando continuità alla missione di Gesù di Nazareth?
Era la forza della comunione ecclesiale e della condivisione della fede e della vita, sostenute dalla preghiera
Il coraggio di affrontare la persecuzione e il martirio nel nome di Gesù Cristo per la causa del Regno di Dio Padre fu sostenuto dalla comunione ecclesiale basata sulla preghiera di intercessione.
Mentre «Pietro era tenuto in prigione» con il rischio di essere ucciso, come era già successo all'apostolo Giacomo, «la Chiesa pregava continuamente Dio per lui» (At 12,5). La forza della preghiera di tutta la Chiesa dà coraggio a coloro che affrontano direttamente la persecuzione in nome del Vangelo.
La condivisione della fede e della vita, sostenuta dalla preghiera, è un'altra forma di comunione che dà coraggio e mantiene viva la fiamma della speranza.
Ci sono momenti in cui tutta l'opera di evangelizzazione sembra fallire, perché la proposta di giustizia e di pace; l'impegno per la carità e il rispetto della dignità umana delle persone, soprattutto delle più povere e sofferenti; la vigilanza per slegare il cuore dell'uomo dall'idolatria del denaro e degli altri beni materiali e dal potere della conoscenza, sono tutte scelte che danno fastidio a chi difende il proprio “Io” e si sente onnipotente, come se fosse un Dio in terra. È bello immaginare la profonda amicizia di Paolo con Timoteo. Nei momenti di prova, nei momenti di persecuzione, un vero amico con cui condividere la fede e la vita dà una grande forza. Era la forza della comunione in Cristo
La comunione ecclesiale e la condivisione della fede e della vita, sostenute dalla preghiera, sono un riflesso dell'esperienza di fede, cioè della comunione in Cristo.
L'autore delle lettere a Timoteo contempla la fede incrollabile dell'apostolo Paolo con parole che risuonano come un incoraggiamento per tutti noi oggi, che siamo ancora chiamati a testimoniare Gesù Cristo nell'attuale contesto culturale e storico, dove non è facile vivere con coerenza ciò che il Vangelo ci insegna: «Ho combattuto la buona battaglia, ho corso la gara, ho conservato la fede» (2Tim 4,7). «Ho conservato la fede»: ho perseverato in Cristo! Nella versione del Vangelo di Matteo, la confessione di fede di Pietro, che riconosce Gesù come «il Messia, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16), diventa la “pietra/roccia” su cui Gesù promette di fondare la sua Chiesa. Non è tanto la personalità di Pietro quanto la comunione di Pietro con il Signore Gesù a diventare la roccia sicura su cui poggiare la storia e la missione della Chiesa, sotto il primato di Pietro e dei suoi successori, inserita in questo mondo e in mezzo all'umanità per essere segno e germoglio sacramentale del Regno di Dio Padre.
La comunione di Pietro e Paolo in Cristo Gesù è stata il frutto di un processo di liberazione, perché prima che Pietro e Paolo affrontassero il carcere, la persecuzione e la morte a causa della loro fede in Cristo, essi stessi sono stati liberati dalle loro prigioni, dai loro limiti umani.
Questo è ciò che ci dice un estratto dell'omelia di Papa Francesco del 29/6/2022.
«Pietro, il pescatore di Galilea, fu liberato innanzitutto dalla sensazione di essere inadeguato e dall'amarezza di aver fallito, e questo grazie all'amore incondizionato di Gesù. Pur essendo un abile pescatore, sperimentava spesso, nel cuore della notte, il sapore amaro della sconfitta per non aver pescato nulla (cfr. Lc 5,5; Gv 21,5) e, di fronte alle reti vuote, sentiva la tentazione dello scoraggiamento; pur essendo forte e impetuoso, si lasciava spesso vincere dalla paura (cfr. Mt 14,30); pur essendo un appassionato discepolo del Signore, continuava a pensare alla maniera del mondo, senza riuscire a comprendere e ad accettare il significato della Croce di Cristo (cfr. Mt 16,22). Pur dicendosi pronto a dare la vita per lui, gli bastò sentirsi sospettato di essere uno dei discepoli di Gesù per diventare timoroso e persino rinnegare il Maestro (cfr. Mc 14,66-72). Ma Gesù lo amava disinteressatamente e scommetteva su di lui. Lo ha incoraggiato a non arrendersi, a gettare le reti in mare, a camminare sull'acqua, a guardare con coraggio alla propria debolezza, a seguirlo sulla via della croce, a dare la vita per i fratelli e le sorelle, a pascere le sue pecore. In questo modo lo ha liberato dalla paura, dai calcoli basati solo sulla sicurezza umana, dalle preoccupazioni mondane, infondendogli il coraggio di rischiare tutto e la gioia di sentirsi pescatore di uomini. Pietro fu chiamato da Gesù a confermare i suoi fratelli nella fede (cfr. Lc 22,32). Come abbiamo sentito nel Vangelo, Gesù gli diede le chiavi per aprire le porte che conducono all'incontro con il Signore e il potere di legare e sciogliere: legare i fratelli a Cristo e sciogliere i nodi e le catene della loro vita (cfr. Mt 16,19).
Anche l'apostolo Paolo ha sperimentato la liberazione attraverso l'opera di Cristo. Fu liberato dalla schiavitù più opprimente, quella di se stesso, di Saulo - il nome del primo re d'Israele; divenne Paolo, che significa “piccolo”. Fu liberato anche da quello zelo religioso che lo aveva reso fanatico nella difesa delle tradizioni ricevute (cfr. Gal 1,14) e violento nella persecuzione dei cristiani. L'osservanza formale della religione e la difesa implacabile della tradizione, invece di aprirlo all'amore di Dio e dei fratelli, lo avevano indurito. Il Cristo risuscitato non lo risparmiò a molte debolezze e difficoltà che resero più fruttuosa la sua missione evangelizzatrice: la stanchezza dell'apostolato, l'infermità fisica (cfr. Gal 4,13-14); la violenza e la persecuzione, i naufragi, la fame e la sete e - secondo le sue stesse parole - una spina che gli tormentava la carne (cfr. 2 Cor 12,7-10)».
Gesù Cristo liberò Pietro e Paolo dalle “prigioni” dei loro limiti umani e li aiutò a diventare «poveri in spirito» (Mt 5,3), assumendo uno stile di vita umile. Entrambi accettarono la povertà radicale della loro condizione umana; liberarono i loro cuori e le loro menti da ogni tipo di sicurezza di questo mondo, per diventare miti e umili, come Gesù, e si abbandonarono all'azione dello Spirito Santo; per questo perseverarono uniti a Cristo fino all'ora del martirio, quando «sperimentarono la fame e la sete della giustizia del Regno» (Mt 5,6). Quando tutto sembrava fallire, in realtà era il momento di ricevere «la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, dà a tutti coloro che attendono con amore la sua gloriosa rivelazione» (2Tim 4,8). La comunione eucaristica ci renda felici di aver scelto Gesù Cristo come nostro unico rifugio. Anche se siamo perseguitati per la nostra scelta di vita cristiana, la comunione ecclesiale, la condivisione della fede e della vita tra di noi, mantengono viva la fiamma della nostra speranza in un mondo che si muove verso la vera pace e non precipita nell'assurdità delle guerre e divisioni.