TESTO Commento su Luca 9,11-17
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Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (22/06/2025)
Vangelo: Lc 9,11-17

11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di padre GianMarco Paris
Alla fine del ciclo liturgico della Pasqua, dopo le solennità di Pentecoste e della Santissima Trinità, la liturgia ci offre la solennità del Corpo e Sangue del Signore. Prima di riprendere il ciclo delle domeniche chiamate del “tempo ordinario”, ci invita a fermarci ancora un po' per contemplare un aspetto del mistero di Gesù che contiene ed esprime la sua divinità e la sua profonda umanità. A chi, se non a Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, poteva venire in mente una cosa così meravigliosa e scandalosa? Cioè la promessa di continuare presente in mezzo ai suoi amici, dopo la sua morte e risurrezione, nel gesto di spezzare un pane per darlo da mangiare e di far passare un calice di vino per berne un po'. Quale religione, al di fuori del cristianesimo, ha il coraggio di riconoscere la presenza di Dio e il cuore della sua sapienza in elementi prodotti dall'uomo e finalizzati alla sua vita e alla sua gioia?
Le pagine della Parola di Dio scelte per questa festa raccontano questo mistero con alcune scene della storia della salvezza. Il sacerdote Melchisedek che offre pane e vino e benedice Abramo è figura di Gesù, sommo sacerdote, che nella cena prima di morire offre se stesso nei segni del pane e del vino. Paolo ricorda ai cristiani di Corinto le parole e il senso di quella cena, come una “tradizione” che lui stesso ha ricevuto e che trasmette, facendo capire che sin dagli inizi quella che noi chiamiamo “messa” era il rito e la preghiera più importante della fede dei discepoli di Cristo.
La cena che Gesù vive con i suoi prima di morire, se anticipa il senso profondo della sua passione, morte e risurrezione, è anche la sintesi di tutto l'insegnamento che Egli ha trasmesso con i suoi gesti e le sue parole. In questo senso, non è un caso che tutti i vangeli raccontano l'episodio dei pani e pesci spezzati e condivisi con una grande folla (è così importante che Matteo e Luca raccontano due episodi di questo tipo). Queste pagine sono da leggere come un gesto che anticipa l'ultima cena; il loro messaggio si comprendere quando Gesù arriva al culmine della sua storia, e che è strettamente collegato con il significato della morte e risurrezione di Gesù, come bene mostra l'episodio dei due discepoli di Emmaus.
Meditando con attenzione la pagina di Luca che ci propone la solennità di oggi, osserviamo che non c'è nessuna insistenza su aspetti “miracolosi” che servono a mettere in mostra i poteri soprannaturali di Gesù (il titolo che solitamente usiamo per questo episodio, la “moltiplicazione” dei pani e pesci, che fa apparire Gesù come un prestigiatore che fa apparire quello che non c'è, non ha nessun collegamento con le parole usate dagli evangelisti per raccontare l'episodio).
Dobbiamo piuttosto ricordare il contesto in cui avviene la scena: dopo la prima esperienza di missione, i discepoli ritornano da Gesù e gli raccontano entusiasti quello che hanno vissuto. Gesù propone loro di ritirarsi da soli in un luogo isolato per riposare. Ma la folla intuisce e li segue. Arrivando sul luogo Gesù “accoglie” la folla e.... addio riposo! Si mette a raccontare loro di Dio e a guarire chi aveva bisogno di cure. E il progetto dei discepoli va in fumo. Intanto passa la giornata. I discepoli sono preoccupati e consigliano a Gesù di “congedare” la folla, perché vada a cercarsi da mangiare. Qui avviene qualcosa di totalmente inatteso: Gesù controbatte, dicendo ai discepoli che spetta a loro dar da mangiare a quella folla. Essi non possono che riconoscere la stranezza di quella richiesta: hanno a mala pena qualcosa per mangiare loro. Come possono dar da mangiare ad una folla così grande? Si dovrebbero fare acquisti per i quali non ci sono né soldi né condizioni (in un luogo deserto, lontano da un centro abitato). Percepiamo che c'è una grande distanza tra quanto sta pensando Gesù e quanto stanno pensando i discepoli. Questi ragionano in termini di cibo da comprare e distribuire, Gesù ragiona in termini di disponibilità ad accogliere quella folla. Vorrebbe che anche vedessero quella folla come la vede lui; che sentissero verso di essa gli stessi sentimenti che sente lui. E - come per far comprendere il senso di quello che sta dicendo - prende la merenda dei discepoli, cinque pani e due pesci, e dopo aver ringraziato Dio per quel piccolo dono, li spezza e li dà ai discepoli perché li distribuiscano come cibo per la folla. E questo gesto sazia la fame, in abbondanza, tanto che avanza addirittura del cibo, che non viene buttato ma portato via.
Prima di saziare la fame del corpo, Gesù accoglie le folle, si fa carico del loro bisogno di senso, di Dio, e del loro dolore. Con la stessa attenzione e con la stessa semplicità si fa carico anche della loro fame, e per questo coinvolge anche in discepoli. Un “miracolo” raccontato in questa pagina è che una moltitudine di Gesù viene sfamata con poco cibo a disposizione. Ma l'inizio di un altro miracolo, ancora più importante, è raccontato in filigrana: Gesù provoca i discepoli ad apprezzare e imitare il suo modo di vivere. I discepoli si chiedono se ciò che hanno può bastare per tutti: la risposta non può che essere negativa. Gesù, con le sue parole “date loro voi stessi da mangiare” li porta a chiedersi se sono disposti a donare ciò che hanno, non importa quanto esso sia. Con il gesto dei pani e pesci distribuiti, Gesù vuol far percepire - a chi ha il cuore disposto - che quando si dona tutto ciò che si ha, ciò basta per saziare il bisogno. Perché la fame più grande non è quella del corpo, ma del cuore, che si sazia di attenzione, di dono, di amore. Quei pani e pesci “spezzati”, diventano così simbolo eucaristico: sono il segno di una vita che si dona totalmente, perché altri abbiano vita.
Così noi, discepoli di Gesù, oggi siamo invitati ad accogliere il suo invito, che ascoltiamo in ogni s. Messa: “fate questo in memoria di me”. Non significa solo ripetere il gesto rituale compiuto da Gesù nell'ultima cena, come di fatto facciamo nella messa, ma molto di più si tratta di fare della nostra vita una “memoria vivente” di Gesù; passare dalla logica del calcolo a quella del dono. Quella logica iscritta nelle esperienze più profonde e vere della vita, come una relazione di amore, la generazione e l'educazione di un figlio, la gratitudine per una persona che ci lascia, e che noi a volte dimentichiamo, perché ci chiede di metterci in gioco fino in fondo.