TESTO Commento su Matteo 9,32-38
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Martedì della XIV settimana del Tempo Ordinario (Anno I) (08/07/2025)
Vangelo: Mt 9,32-38
Commento al Vangelo
L'opera di Gesù dona liberazione a molti cuori, ma sembra che siano pochi coloro che si dedicano a diffondere il regno di Dio. La messe abbondante ci dice che il Creatore sa cosa abbiamo nel cuore, tanti aspettano che gli sia annunciato Gesù. Il tuo collega di ufficio, il tuo vicino, il passante che vedi per strada, in tanti aspettano Gesù. Eppure, quelli che si adoperano per essere missionari, sembrano essere pochi. Ancor di più sembrano essere pochi coloro che si consacrano in modo profetico al regno di Dio. Sono sempre pochi i preti, i religiosi e in genere i consacrati, mentre la messe è abbondante. Il cuore dell'uomo infatti non smette di cercare Dio, tanti lo aspettano! La soluzione che propone Gesù qual è? Fare più pubblicità? Gesù ci dice così: «Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe», la prima soluzione è la preghiera per le vocazioni, pregare che il Signore operi nei cuori e stare attenti a custodire le vocazioni dalla superficialità. Spesso rispondiamo alle esigenze di essere missionari cercando di fare breccia nel cuore dei fedeli o dei giovani avendo lo stile del mondo, pensando che è questo che porta alla messe numerosa. La messe invece è già numerosa! Perciò capita che i catechisti, gli operatori pastorali, i religiosi, i preti, i vescovi, invece di essere testimoni oranti del regno dei cieli, si preoccupano di essere accattivanti. Perciò di conseguenza si finisce non a creare fraternità cristiane accoglienti e oranti, ma a organizzare eventi, spesso numerosi e a prova di fotografo, ma fondamentalmente inconsistenti riguardo alla fede. Per cui facciamo eventi, progetti, abbiamo buone intenzioni, ma tutto l'anno le chiese sono vuote, le riempiamo all'occorrenza attraverso devozioni ed eventi. Forse dovremmo opporci a una concezione della fede legata ai risultati numerici, in cui l'attenzione è più rivolta alla quantità che alla sincerità del cammino spirituale. Piuttosto che concentrarsi sulla crescita in termini di adesioni, è fondamentale essere autentici seguaci di Gesù, vivendo concretamente il suo insegnamento e testimoniando con amore il regno di Dio nella quotidianità. La messe è già numerosa, noi dobbiamo lavorare per il regno, non fare numeri alla maniera umana, mettendo in atto atteggiamenti seducenti! Possiamo fare tanti numeri essendo dei buoni imprenditori del sacro, ma Dio ci ha chiesto questo? La fede non dovrebbe essere trasformata in un'industria né ridotta a una strategia di marketing. Allo stesso tempo, laddove ci siano comunità o movimenti accoglienti e aperti, persone che testimoniano veramente il regno di Dio, stiamo attenti a non cadere nel rischio di scoraggiarci e chiuderci nel nostro spazio consolidato. La messe è fuori, dobbiamo testimoniare soprattutto nel nostro quotidiano e soprattutto allontanarci da una modalità giudicante e disfattista. Perciò cerchiamo di fare spazio agli altri sapendo condividere anche con carismi diversi, sapendo lasciare incarichi per far servire altri, e accogliendo attitudini diverse. Siamo chiamati ad evangelizzare, perciò non contendiamoci il raccolto, ma apriamoci a far fruttificare il nostro battesimo come missionari. Oggi Gesù ci dice di pregare e di fare della nostra vita una preghiera vivente, buon cammino.
«Noi vogliamo dire al mondo, con umiltà e con gioia: guardate a Cristo! Avvicinatevi a Lui! Accogliete la sua Parola che illumina e consola! Ascoltate la sua proposta di amore per diventare la sua unica famiglia: nell'unico Cristo noi siamo uno. E questa è la strada da fare insieme, tra di noi ma anche con le Chiese cristiane sorelle, con coloro che percorrono altri cammini religiosi, con chi coltiva l'inquietudine della ricerca di Dio, con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, per costruire un mondo nuovo in cui regni la pace. Questo è lo spirito missionario che deve animarci, senza chiuderci nel nostro piccolo gruppo né sentirci superiori al mondo; siamo chiamati a offrire a tutti l'amore di Dio, perché si realizzi quell'unità che non annulla le differenze, ma valorizza la storia personale di ciascuno e la cultura sociale e religiosa di ogni popolo» (papa Leone XIV).
I missionari Aquila e Priscilla:
I nomi di Aquila e Priscilla sono latini, ma l'uomo e la donna che li portano erano di origine ebraica. Almeno Aquila, proveniva geograficamente dalla diaspora dell'Anatolia settentrionale, che si affaccia sul Mar Nero nell'attuale Turchia, mentre Priscilla, il cui nome si trova a volte abbreviato in Prisca, era probabilmente un'ebrea proveniente da Roma (cfr At 18,2). È comunque da Roma che essi erano giunti a Corinto, dove Paolo li incontrò all'inizio degli anni '50; là egli si associò ad essi poiché, come ci racconta Luca, esercitavano lo stesso mestiere di fabbricatori di tende o tendoni per uso domestico, e fu accolto addirittura nella loro casa (cfr At 18,3). Il motivo della loro venuta a Corinto era stata la decisione dell'imperatore Claudio di cacciare da Roma i Giudei residenti nell'Urbe. Lo storico romano Svetonio ci dice su questo avvenimento che aveva espulso gli Ebrei perché “provocavano tumulti a motivo di un certo Cresto” (cfr “Vite dei dodici Cesari, Claudio”, 25). Si vede che non conosceva bene il nome - invece di Cristo scrive “Cresto” - e aveva un'idea solo molto confusa di quanto era avvenuto. In ogni caso, c'erano delle discordie all'interno della comunità ebraica intorno alla questione se Gesù fosse il Cristo. E questi problemi erano per l'imperatore il motivo per espellere semplicemente tutti gli Ebrei da Roma. Se ne deduce che i due coniugi avevano abbracciato la fede cristiana già a Roma negli anni '40, e ora avevano trovato in Paolo qualcuno che non solo condivideva con loro questa fede - che Gesù è il Cristo - ma che era anche apostolo, chiamato personalmente dal Signore Risorto. Quindi, il primo incontro è a Corinto, dove lo accolgono nella casa e lavorano insieme nella fabbricazione di tende. In un secondo tempo, essi si trasferirono in Asia Minore, a Efeso. Là ebbero una parte determinante nel completare la formazione cristiana del giudeo alessandrino Apollo, [...] poiché egli conosceva solo sommariamente la fede cristiana, «Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio» (At 18,26). Quando da Efeso l'apostolo Paolo scrive la sua Prima Lettera ai Corinzi, insieme ai propri saluti manda esplicitamente anche quelli di «Aquila e Prisca, con la comunità che si raduna nella loro casa» (16,19). Veniamo così a sapere del ruolo importantissimo che questa coppia svolse nell'ambito della Chiesa primitiva: quello cioè di accogliere nella propria casa il gruppo dei cristiani locali, quando essi si radunavano per ascoltare la Parola di Dio e per celebrare l'Eucaristia. È proprio quel tipo di adunanza che è detto in greco “ekklesìa” la parola latina è “ecclesia”, quella italiana “chiesa” che vuol dire convocazione, assemblea, adunanza. Nella casa di Aquila e Priscilla, quindi, si riunisce la Chiesa, la convocazione di Cristo, che celebra qui i sacri Misteri. E così possiamo vedere la nascita proprio della realtà della Chiesa nelle case dei credenti. I cristiani, infatti, fin verso il secolo III non avevano propri luoghi di culto [...] si riuniscono nelle case i cristiani, che diventano così “Chiesa”. E infine, nel III secolo, nascono veri e propri edifici di culto cristiano. Ma qui, nella prima metà del I secolo e nel II secolo, le case dei cristiani diventano vera e propria “chiesa”. Come ho detto, si leggono insieme le Sacre Scritture e si celebra l'Eucaristia. Così avveniva, per esempio, a Corinto, dove Paolo menziona un certo «Gaio, che ospita me e tutta la comunità» (Rm 16,23), o a Laodicea, dove la comunità si radunava nella casa di una certa Ninfa (cfr Col 4,15), o a Colossi, dove il raduno avveniva nella casa di un certo Archippo (cfr Fm 2). [..] Ogni casa può trasformarsi in una piccola chiesa. Non soltanto nel senso che in essa deve regnare il tipico amore cristiano fatto di altruismo e di reciproca cura, ma ancor più nel senso che tutta la vita familiare, in base alla fede, è chiamata a ruotare intorno all'unica signoria di Gesù Cristo (Benedetto XVI, 7 febbraio 2007).