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TESTO E furono giorni di apprendistato

don Angelo Casati   Sulla soglia

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VII domenica T. Pasqua (Anno C) (01/06/2025)

Vangelo: Gv 17,1b.20-26 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 17,1b.20-26

1Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te.

20Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: 21perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.

22E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. 23Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.

24Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.

25Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. 26E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

Dire ascensione è dire bellezza. E' dire bellezza e insieme scompiglio. Ma la bellezza non ha forse di suo anche l'arte di creare emozione e quindi scompiglio? Certo, tu dici: "portati in cielo". Più fuori di così? E rimarresti anche tu, come i discepoli, pupille fisse a quel punto all'orizzonte, che quasi più non afferri tanto è risucchiato. Occhi rapiti in cielo dietro il Signore, a rincorrerlo, in estasi. Ed è subito scompiglio perché nel racconto c'è un rimando inequivocabile, indilazionabile, alla terra: "Quand'ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo". E gli angeli scompigliano. Anche a noi oggi, occhi risucchiati in cielo, non fanno che ripetere: "Uomini, donne, perché state a guardare il cielo?". Cielo e terra insieme, uno scompiglio nell'ascensione.

Ma scompiglio riaccade - e non è ancora finito - sulla parola "regno". La ritroviamo sulle labbra dei discepoli, ancora pochi minuti prima che Gesù sia elevato e una nube lo nasconda ai loro occhi: "Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: "Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?"". Era dura a morire quella idea del regno da ricostituire. La parola - sto fantasticando - li aveva come abbagliati dalla prima ora. Non è forse vero che le parole di Gesù dell'in principio, secondo l'evangelista Marco, furono proprio queste: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo"? Il regno, il regno è vicino. Non era dunque bastato un cammino di tre anni per allontanarli, una volta per sempre, dall'immagine dei regni alla maniera dei dominatori del mondo, per condurli a quel cartello fisso al legno della croce, "Gesù re dei Giudei", sopra braccia allargate. Forse la risurrezione, che sapeva di vittoria, aveva ridestato rigurgito di vecchi pensieri? Come sarebbero stato i giorni a venire? Trionfi? Ma il Maestro non si smentiva: lui, che aveva associato regno di Dio a convertirsi e a credere al vangelo, un'ora prima di andarsene, lega l'avventura del regno di Dio a un'altra forza, la forza dello Spirito e alla bellezza della testimonianza.

Si apre un tempo nuovo ed e questo, e via le maschere del dominio e del potere. Gesù è esplicito su dove sarà la nostra forza: "Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra". La forza dello Spirito Santo... e fino ai confini della terra. E splendevano in tutta la loro palese stupefacente sproporzione le parole del Maestro, da far rabbrividire persino le pareti della stanza al piano superiore o il soffitto senza pareti del cielo sopra Betania: una vistosa accecante sproporzione. Che è anche la nostra. Pensateli in ritorno da Betania, undici, per lo più pescatori e dove arrivano i confini della terra? E la testimonianza? Consegnata a quelli che la notte del tradimento si erano dileguati. E la forza? Che scompiglio.

Ecco, la forza, ecco qui la sorpresa: la forza nei giorni in cui il Maestro più non lo vedi - e sono anche i nostri - è lo Spirito. Fu così all'in principio, e poi ancora e poi a tratti, ma solo a tratti quando nei secoli ancora ci si diceva che non c'era motivo di temere, che la forza era lo Spirito e che a noi toccava la testimonianza. Che è ben più delle parole. Poi si cominciò a sospettare che la forza della chiesa, dei credenti, stesse nel contare, nell'avere l'ultima parola, nella cattura del consenso, nell'avere mezzi e potere, nelle strategie e astuzie mondane. Eppure pensate alla potenza di quella icona: gli undici di ritorno da Betania, dal monte da dove l'avevano visto salire, entrano in città salgono alla stanza al piano superiore. E Luca fa i nomi, sono undici. Chissà se per dire che erano un piccolo seme, e che non ti spaventi piccolezza e aggiunge: "Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui".

Non ti spaventi piccolezza purché sia chicco di senapa: sarà albero per prodigio della linfa dello Spirito. La nostra forza è lo Spirito; e la testimonianza, amarci come Gesù ci ha amati, perché da questo ci conosceranno. Ce lo ha ricordato papa Leone la prima sera, quando ci disse: "La Chiesa di Roma presiede nella carità e la sua vera autorità è la carità di Cristo. Non si tratta mai di catturare gli altri con la sopraffazione, con la propaganda religiosa o con i mezzi del potere, ma si tratta sempre e solo di amare come ha fatto Gesù". E ora vi lascio con uno dei miei pensieri spensierati: per alcune fonti ci furono quaranta giorni dopo la risurrezione, per altre fu ascensione subito la sera. Poi lo vedono, poi non le vedono e dove è quando non lo vedono? Eppure dove c'è una donna che piange o altre tristi che cercano, su una strada che sa di tramonto o nel vociare chiassoso allegro di una locanda a Emmaus, in una sera di smarriti in una stanza al piano superiore in Gerusalemme o in vista di una barca di pescatori che grida il vuoto o su sabbie di litorale che odorano di pesce arrostito, lo riconoscano o no, lui c'è. Per quaranta giorni così: lo vedono, poi non lo vedono.

E mi prende uno strano pensiero che lui abbia voluto quei giorni quasi come un sorte di apprendistato. Per dire che lui sarebbe stato presente anche quando non l'avrebbero più visto. E che nel loro lungo viaggio, che poteva essere chiamato testimonianza, lo rendessero presente, ora che si era fatto invisibile, amando. Ma con gesti concreti. E non dire mai "è poco" se è quel poco che puoi. In faccia al mondo. Ci sei tu. E lui con te, con noi, in questa nostra terra, questa e non altra. Gli occhi al cielo. Facciamo ritorno in città.

 

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