TESTO Grazie, Kant!
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
Ascensione del Signore (Anno C) (01/06/2025)
Vangelo: Lc 24,46-53

46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
“È andato in cielo, con Gesù” è la più classica delle spiegazioni che diamo ai bambini quando devono affrontare il primo grande lutto della loro piccola esistenza, in genere quello dei nonni. E non è sempre detto che con questa risposta si riesca a liquidarli tanto facilmente, perché spesso ci si sente rispondere: “Ma quand'è che torna dal cielo?”. Certo, sono domande da bambino: eppure qualcosa di analogo se lo sono chiesto anche i primi cristiani riguardo alla partenza di Gesù per il cielo.
Il tema del ritorno del Signore sulla terra, infatti, era molto presente nella predicazione e nei primi scritti della Chiesa apostolica: tutto era dato per così imminente che spesso si giungeva ad atteggiamenti rinunciatari e passivi di fronte alla storia, soprattutto quando si vedevano catastrofi umanitarie, distruzioni, guerre e conflitti che facevano pensare al giudizio finale e al ritorno del Figlio di Dio dal cielo (cosa dovremmo dire noi, oggi?, mi viene da pensare). A poco valeva, quindi, impegnarsi e darsi da fare per costruire una società onesta, fraterna, basata sugli insegnamenti del Vangelo, perché a questo avrebbe pensato il Maestro, al suo ritorno. Quando poi ci si accorse che il ritorno del Figlio di Dio nella gloria non sarebbe stato né una cosa immediata, né tantomeno prevedibile, iniziarono a farsi strada interrogativi e domande che a volte creavano sentimenti di angoscia e di preoccupazione, quasi come se ci si sentisse abbandonati da un Gesù che se ne era andato in cielo e si era scordato delle vicende della terra. Del resto, capita pure a noi di prendercela con il cielo, di nutrire un senso di rabbia o di delusione nei confronti di un Dio che pare essersi scordato dell'umanità e che ci abbandona mentre abbiamo ancora bisogno di lui.
“Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”, dicono i due uomini in bianche vesti agli apostoli che guardavano Gesù andarsene in cielo. Eh, beh: io la risposta l'avrei: sto a guardare il cielo perché, se dovessi guardare sempre e solo alla terra, mi passerebbe la voglia di vivere... e non mi riferisco solo a Gaza, all'Ucraina, ai mille focolai di guerra presenti nel mondo, alle inutili guerre commerciali o alla fame che attanaglia milioni di persone nel mondo. Anche lo sguardo a terra qui, tra le strade delle nostre città, dei nostri paesi, delle nostre parrocchie, non è che mi offra scorci edificanti... Per cui, vista “quanta violenza c'è sotto questo cielo” - come si cantava quando si era “sorcini” - diventa abbastanza naturale e scontato cercare sopra, “nel” cielo, una risposta ai perché della vita.
E invece, i due uomini in bianche vesti, oggi come allora, ci incalzano: ma perché mai dobbiamo stare a guardare il cielo in attesa di una risposta? Perché mai, invece di ringraziare il Signore per quella meraviglia di cielo che ci regala in quelle giornate limpide ultimamente più uniche che rare, spesso rivolgiamo al cielo parole che sono tutt'altro che di lode e di ringraziamento? Perché, invece di darci da fare perché il nostro cielo sia “sempre più blu”, compiamo una serie di gesti e di azioni che lo deturpano e lo inquinano senza alcuno scrupolo? In definitiva, perché continuiamo a rivolgerci al cielo per attenderci che da lassù qualcuno ci dica quando e come metterà a posto il mondo, e non ci diamo invece da fare per costruire una società che abbia sempre di più sapore delle cose del cielo?
Se è vero, come diceva il filosofo Kant, che abbiamo un cielo stellato sopra di noi e una legge morale dentro di noi, allora non fermiamoci a guardare il cielo riempiendoci di stupore, meraviglia e nostalgia per la sua profondità, e facciamo in modo di seguire, ognuno di noi, quella voce interiore che ci spinge al bene.
Quei due uomini in bianche vesti, gli stessi che erano quel mattino presso la tomba vuota, ci invitano a rivolgere lo sguardo alle cose della terra, perché il Signore tornerà, un giorno, nello stesso modo in cui se n'è andato, ovvero senza troppi preavvisi. Ed è bene che sia così, per evitare che ce la prendiamo comoda con “la legge morale che è dentro di noi”! Se una mamma avvisa i figli a che ora esce di casa e a che ora rientra dando loro dei compiti, questi se la prendono con comodo e si gestiscono in modo che tutto sia a posto per il suo rientro. Ma se la mamma rimane sul vago, oppure si ha la sensazione che possa anche giocare d'anticipo, non si sta troppo tranquilli: si rimane in allerta e ci si dà subito da fare per non farsi trovare impreparati! Gesù non vuole che stiamo imbambolati a guardare al cielo, prendendocela comoda o magari invocando dal cielo stesso la soluzione immediata alle nostre fatiche. Il cielo limpido e stellato sopra le nostre teste sarà anche affascinante, ma spesso è una comoda scusa: ci mettiamo a contemplarlo, a venerarlo, a invocare una risposta ai nostri interrogativi, e ci dimentichiamo che abbiamo un impegno con il Maestro, quello di essere suoi testimoni sino ai confini della terra. Con pazienza e intelligenza, certo: occorre stare a Gerusalemme, non farsi troppe domande sui tempi di Dio e attendere pazientemente il dono dello Spirito, che non tarderà. Poi, però, bisogna partire, con il cielo nel cuore e lo sguardo rivolto alla terra e alla vita di ogni giorno.
Il cielo che contempliamo diventa una scusa, quando attendiamo che dall'alto ci venga detto che cosa dobbiamo fare, senza prenderci le nostre responsabilità: la potenza dello Spirito è data a tutti, e nessuno può permettersi di contrastarla. Attendere risposte dall'alto, che sia il cielo a darcele o che siano gli uomini, è fin troppo facile: è una comoda mancanza di responsabilità, e soprattutto non è ciò che Dio vuole da noi. Per cui, prendiamo forza dal cielo stellato sopra di noi e buttiamo fuori tutto il bene che è dentro di noi.