TESTO Commento su Giovanni 16,16-20
Missionari della Via Missionari della Via - Veritas in Caritate
Giovedì della VI settimana di Pasqua (29/05/2025)
Vangelo: Gv 16,16-20
Gesù parla in modo velato della sua morte («un poco e non mi vedrete») e della sua risurrezione («un poco ancora e mi vedrete»). Questo evento provoca reazioni diverse: il mondo si rallegrerà della sua morte, mentre i suoi discepoli saranno nella tristezza. Ma questa tristezza nella risurrezione si cambierà in gioia. Qui da una parte vediamo l'allegria “bontempona” del mondo sganciata dalla verità. Chi si rallegrò per la morte di Gesù era chi non aveva minimamente capito chi fosse, chi lo considerava scomodo, eccessivo, chi non era disposto a lasciarsi mettere in discussione e lo vedeva come un problema al proprio prestigio e alla propria carriera. Di contro, i discepoli erano nella tristezza, hanno attraversato l'amarezza di chi non solo vive il lutto di una persona cara ma sperimenta anche una colossale ingiustizia, un abuso di potere, chi si sente minacciato, chi teme sia tutto perduto e non ne sia valsa la pena. Ma questa sofferenza si cambierà in gioia nell'ora della risurrezione, alla vista del Signore risorto. È Lui ed è grazie a Lui che avverrà questa trasformazione, una trasformazione che anche noi in diversi modi possiamo sperimentare nella nostra vita, proprio come dice il Salmo 126: «chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell'andare se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare viene con gioia, portando i suoi covoni» (vv. 5-6). Sì, il Signore sa trasformare l'acqua delle lacrime in rugiada che irriga nuovi germogli di vita, sa lenire il dolore acuto in profonda consolazione. A noi sta cercarlo, stargli vicino e, nonostante tutto, continuare a seguirlo, cercando in Lui la gioia, certi di quanto dice la Scrittura: «cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore» (Sal 37,4).
Con lui anche le gioie della vita presente conservano il loro dolce sapore e non si trasformano in angosce. Non solo le gioie spirituali, ma ogni gioia umana onesta: la gioia di veder crescere i propri figli, del lavoro felicemente portato a termine, dell'amicizia, della salute ritrovata, della creatività, dell'arte, della distensione a contatto con la natura. Solo Dio ha potuto strappare dalle labbra di un santo il grido: “Basta, Signore, con la gioia; il mio cuore non può contenerne più!”. In Dio si trova tutto quello che l'uomo è solito associare alla parola felicità e infinitamente di più, poiché “occhio non vide, orecchio non udì, né mai salì in cuore di uomo quello che Dio tiene preparato per coloro che lo amano” (cfr. 1 Corinzi 2,9). Il traguardo finale che la fede cristiana addita all'uomo non è la semplice cessazione del dolore, lo spegnimento dei desideri, come in altre religioni. È infinitamente di più: è l'appagamento di tutti i desideri. La Bibbia descrive la vita eterna con le immagini della festa, del banchetto nuziale, del canto e della danza. Entrare in essa è fare l'ingresso definitivo nella gioia: “Entra nel gaudio del tuo Signore!” (Matteo 25,21). È ora di cominciare a proclamare con più coraggio il “lieto messaggio” che Dio è felicità, che la felicità non la sofferenza, la privazione, la croce avrà l'ultima parola. Che la sofferenza serve solo a rimuovere l'ostacolo alla gioia, a dilatare l'anima, perché un giorno possa accoglierne la misura più grande possibile» (p. Raniero Cantalamessa).