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TESTO E ci sia un angelo a riportare amore

don Angelo Casati   Sulla soglia

V domenica T. Pasqua (Anno C) (18/05/2025)

Vangelo: Gv 13,31b-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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31Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Ancora una volta qui a riascoltare parole di Gesù, cercando - è una mia fissazione - di immaginare che cosa si muovesse in quell'ora nel suo cuore e nel cuore dei discepoli. Pensate sono le parole, le prime, che Gesù disse, all'imbrunire, nell'ultima cena, dopo che, profondamente turbato, aveva detto ai suoi discepoli che uno di loro lo avrebbe tradito. Una reazione di spaesamento, di sconcerto: e chi mai? E Gesù intinge il boccone e lo dà a Giuda. E Giovanni nel suo vangelo annota: "Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte. Quando fu uscito, Gesù disse: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui". Ecco dove nascono le parole che abbiamo ascoltato: appena Giuda uscì, a tradimento. E Gesù - pensate la rivoluzione - lega senza cesure la parola "gloria" all'ora ormai vicina del tradimento, all'ora ormai vicina di una morte infamante di croce.

"Ora- dice proprio "ora" - il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui". La gloria: amare, amare anche a costo di essere ferito a tradimento, amare anche a costo di dare la vita, purché gli altri siano liberi. La gloria. La sua. E la nostra? Di noi che ci professiamo discepoli? Quale gloria inseguiamo? Poi, ecco Gesù chiamare i discepoli con una sfumatura di tenerezza e dire loro: "Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri". Ebbene mi ha sempre colpito, questo luogo nuovo - permettete che lo chiami così - dove cercare e trovare Gesù oggi: "Mi cercherete... ma dove vado io, voi non potete venire. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri".

Il luogo nuovo è: "amatevi gli uni gli altri". Il luogo in cui cercare e trovare Gesù, il luogo non astratto, non stinto, ma concreto, con il colore della vita, è questo: amare. Questo su tutto. Paolo ce lo ha ricordato quando nell'esortare quelli di Corinto alla "via più sublime" - loro che si vantavano di tanti carismi - con immagine potente scrive: "Se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla". E attenzione a non stingere anche la parola carità, che non è un'elemosina, ma l'amore nell'orizzonte della vita di Gesù - "come io vi ho amato" - amore senza condizioni, sino a dare la vita. L'amore più forte della morte: l'amore che non muore, non porta morte, anzi fa risorgere. Se non c'è amore si è morti prima e si introducono vuoti paurosi di morte nella storia, sia in quella personale sia in quella comunitaria, mondiale.

In questo orizzonte - di un amore annodato stretto alla risurrezione - vorrei sfiorare un nesso intrigante che sguscia oggi anche dal racconto degli Atti degli apostoli. Nel libro viene evocata - forse anche con qualche enfasi - la comunità delle origini: sembrano accadere e prendere forma le parole di Gesù, che erano invito ad amarsi gli uni gli altri. Sentite la bellezza di questo squarcio sulla vita della comunità: "La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune". Come dare forma nel tempo alle parole di Gesù? Questo è il problema. Sarebbe comodo, ma anche triste, eluderlo con la scusa che il modello delle origini oggi è improponibile, sottraendoci così all'urgenza di mettere in campo tutta la nostra intelligenza, progettualità, passione, alla ricerca di un assetto sociale, alternativo a quello attuale che sembra tradire, con disuguaglianze stordenti e ingiustizie insopportabili, parole che per noi sono sacre. Ne va della fede.

Mi colpisce sempre - anche oggi mi ha colpito - come il racconto degli Atti metta in stretta connessione la testimonianza della risurrezione con il fatto che nessuno fra loro fosse bisognoso. Riascoltiamo: "Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso". Come siamo lontani. E' in una società dove nessuno è bisognoso, dove è rispettata la dignità di ciascuno, che è viva la testimonianza della risurrezione, dell'amore che vince la morte: è la consegna nel testamento di Gesù. Una consegna che mi è sembrato di ritrovare in questa poesia struggente di Refaat Alareer, poeta, scrittore e professore universitario di letteratura comparata, ucciso nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2023, in un raid su Gaza:

Se io dovessi morire
tu devi vivere
per raccontare
la mia storia
per vendere tutte le mie cose
comprare un po' di stoffa
e qualche filo,
per farne un aquilone
(magari bianco con una lunga coda)
in modo che un bambino,
da qualche parte a Gaza
fissando negli occhi il cielo
nell'attesa che suo padre
morto all'improvviso senza dire addio
a nessuno
né al suo corpo
né a se stesso
veda l'aquilone,
il mio aquilone che hai fatto tu,
volare là in alto
e pensi per un attimo
che ci sia un angelo lì
a riportare amore.
Se dovessi morire
che porti allora
una speranza
che la mia fine sia una storia!

 

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