TESTO Un'ossessione d'amore
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
IV Domenica di Pasqua (Anno C) (11/05/2025)
Vangelo: Gv 10,27-30

«27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».
Non posso certo avere esperienza diretta della vita matrimoniale o della vita di coppia: ma attraverso colloqui o incontri informali ho spesso l'opportunità di sentire mamme che dicono “Con mio marito o con il mio compagno, alla fine, se ci sono delle incomprensioni o delle fatiche, avendo tentato ogni strada possibile per cercare di andare d'accordo e di volerci bene, se questo non è più possibile, ce se ne fa una ragione e ognuno per la propria strada. Ma guai a chi mi tocca i miei figli...”. E come dar loro torto? Come poter pensare che si tratti di affermazioni esagerate o dettate esclusivamente dal naturale istinto materno, se addirittura Dio, a nostro riguardo, parla in questo modo?
“Nessuno strapperà dalla mia mano le mie pecore”, dice Gesù nel Vangelo di oggi. E subito dopo, rincara la dose, dicendo che nessuno le strapperà neppure dalle mani del Padre suo, già che lui e il Padre sono una sola cosa anche nel modo di amare. Colpiscono, queste affermazioni lapidarie di Gesù, per il fatto che non sono solamente l'espressione di una paternità o maternità viscerale e protettiva nei nostri confronti, ma anche perché denotano una sua esigenza, una sua necessità. Quasi a dire: “Guai a chi mi tocca le mie pecore, perché io non posso stare senza di loro!”. Insomma, Gesù Buon Pastore ha bisogno di noi, ha bisogno di averci con sé: e non può proprio farne a meno. Non che qualcuno di noi lo obblighi a fare questo, ci mancherebbe: si tratta di una sua “libera necessità” (per riprendere un'espressione del filosofo seicentesco Baruch Spinoza), ovvero è Dio che, nella sua assoluta libertà, decide di avere a che fare con noi in maniera così forte da apparirci addirittura ossessiva. Sì, Dio è ossessionato di amore per noi, ha quasi un bisogno compulsivo di amarci: e guai a chi dovesse cercare di impedirglielo!
E Gesù non poteva usare, per esprimere questo concetto dell'amore ossessivo di Dio nei nostri confronti, immagine più efficace di quella del pastore. Non lo fa solamente in questo famoso decimo capitolo del Vangelo di Giovanni che caratterizza da sempre il tema della IV domenica del Tempo Pasquale: sono oltre una cinquantina i passi biblici che narrano la sollecitudine misericordiosa di Dio nei confronti dell'umanità attraverso la metafora del pastore e del gregge. Su tutti, la parabola del pastore che si disinteressa del gregge rimasto al sicuro nell'ovile per andare alla ricerca di quell'1% di umanità che si è smarrita e che agli occhi del resto del gregge non assume alcuna importanza, mentre per Dio conta più di tutto il resto del gregge, apparentemente sempre fedele alla sua voce.
Ecco, la voce: questo è un altro degli elementi che caratterizza questo testo. “Le mie pecore ascoltano la mia voce”. Sappiamo bene come ognuno di noi abbia una tonalità di voce, un timbro che la contraddistingue da tutte le altre, per cui non facciamo alcuna fatica a riconoscere le persone dalla voce, molto più che dalla fisionomia, che spesso può cambiare o ingannare, o che magari ci viene nascosta dalla impossibilità a vedere una persona. Tutti gli studiosi di pediatria concordano nel dire che un neonato riconoscerebbe la voce della mamma (che oggi, tra l'altro, ricordiamo in modo particolare nel giorno della sua festa) pur in mezzo a mille altre voci: addirittura, questa cosa avverrebbe già dall'utero materno! La voce è il distintivo dell'identità di una persona, è ciò che ti permette di identificarla, è ciò con cui ci presentiamo agli altri entrando in relazione con essi. Ascoltare la voce di Dio significa quindi riconoscere che lui c'è, e che desidera entrare in relazione con noi, perché “ci dà una voce”, ci interpella, ci chiama a stare con lui e a dialogare con lui.
Dio è per noi una voce e una mano: voce che ci invita a entrare in relazione con lui e mano che ci afferra, e dalla quale nessuno ci strapperà mai. Una voce sicura e una mano forte, decisa, inviolabile. Sicurezza e inviolabilità che rendono Dio ossessivamente bisognoso e desideroso di amare l'umanità intera: salvo poi scoprire che è l'umanità, in fondo, ad avere bisogno di Dio, della sua voce e della sua mano.
Ma l'umanità, oggi, a quale voce dà ascolto? Quale mano cerca, nel momento del bisogno, e quale mano le viene tesa? Ogni giorno ascoltiamo migliaia di voci, e ben poche sono quelle che ci danno serenità e sicurezza (nemmeno le canzonette, oggi, sanno più trasmettere serenità...): sentiamo le voci caotiche e confuse della strada, quelle ammalianti e ingannevoli dei mezzi di comunicazione sociale, quelle adirate e nervose del datore di lavoro, quelle arroganti e prepotenti di chi ci governa; ma anche la voce familiare di mamma e papà (anche quando si arrabbiano!), la voce sussurrata e seducente della persona amata, la voce rassicurante dell'amico o dell'amica che ci sostiene nel momento della difficoltà.
E ogni giorno entriamo pure in relazione con le mani di decine, centinaia di persone, anche solo per stringerle in forma di saluto, o magari per fare un tratto di strada insieme nel più totale riposo e nel calore di un affetto, o per celarci da uno sguardo indiscreto e minaccioso, o a volte - purtroppo - per difenderci da mani che si avvicinano a noi con intenzioni non certo pacifiche.
Sicurezza, cordialità, pace e amore, ma anche rabbia, violenza, rifiuto e tensione: questo possono provocare in noi la voce e le mani dell'umanità; e questo possiamo creare con le nostre stesse mani e con il tono della nostra voce. Sta solamente a noi decidere. Dio, il Pastore buono, ha già deciso: nel suo grande e ossessivo bisogno di amore ci interpella con la sua voce e ci afferra con la sua mano. E impedirà a chiunque di farci del male.