TESTO Commento su Giovanni 13,31-35
Missionari della Via Missionari della Via - Veritas in Caritate
V Domenica di Pasqua (Anno C) (18/05/2025)
Vangelo: Gv 13,31-35

31Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Il Vangelo di oggi ci consegna, tra le altre, due parole importanti: la gloria e l'amore.
La prima parola è la gloria. Giuda esce dal cenacolo; Gesù sa bene che sta andando a mettere in atto il suo proposito di tradimento. Proprio in questo contesto mortifero, mentre la sua vita è minacciata, Gesù parla di gloria! Cosa significa? La gloria nel mondo ebraico indica il peso specifico, potremmo dire il valore di una cosa. Gesù intreccia il tema della gloria alla sua passione, morte e risurrezione. In primo luogo dice che proprio ora, nella sua passione e morte, si manifesterà la sua gloria, la sua consistenza, il suo valore. Proprio qui si vedrà il suo amore per noi, quanto gli stiamo a cuore. Proprio sulla croce si dispiega l'amore gratuito, smisurato ed eterno del Signore per noi. Proprio lì, nel momento in cui tutti avremmo tirato i remi in barca Lui si consegna fino alla fine. In secondo luogo Gesù accenna alla risurrezione; in essa si vedrà la sua gloria, il suo splendore, e proprio la risurrezione confermerà e suggellerà il valore immenso della sua passione e morte sofferta per amor nostro. Tutto questo sembra suggerirci una profonda differenza tra la vanagloria e la vera gloria. La vanagloria è il gonfiarsi, il darsi arie; ma potremmo anche allargare il concetto a quella “gloria” che cerchiamo nei successi, nelle capacità umane, nel mettersi in evidenza. Possiamo chiamarla “vana” perché passa con sorella morte. La vera gloria invece è quella propria di chi ama, di chi sa dare la sua vita, di chi sa impegnarsi a favore degli altri, specie dei bisognosi. Si vede la consistenza di un padre, di un marito, di un sacerdote, di una consacrata, di una moglie... insomma, di un credente non nei titoli ma nell'amore, nella capacità di spendersi, di sacrificarsi, di essere fedele nelle piccole come nelle grandi cose. Ci farà bene chiederci: e io che gloria cerco?
La seconda parola che il Vangelo ci consegna è l'amore, in greco àgape. È un termine che Giovanni predilige per indicare anzitutto l'amore di Dio, quel dono di sé totale, gratuito, senza se e senza ma, quell'amore “folle”, immeritato e appassionato che Dio ha per noi. Si tratta di un amore che, una volta accolto, chiede per sua natura di essere corrisposto e donato. Nello specifico, Gesù consegna il suo “testamento”: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Tutto parte da quel «come io vi ho amato», che qualcuno ama tradurre: “poiché io vi ho amato”. L'amore del Signore è l'origine e la forma dell'amore che siamo chiamati ad accogliere e incarnare. E non si tratta di un amore a condizione o part-time; no, Gesù stesso ci ha detto che si tratta di dare la vita per i propri amici. E gli amici di Gesù non sono stati solo i suoi discepoli ma tutti, anche quelli che lo hanno abbandonato e crocifisso. Basti pensare che Gesù chiamò “amico” anche Giuda nell'ora del tradimento al Getsemani! Ecco: «così amatevi gli uni gli altri». Gesù chiede che nella sua comunità regni e sia visibile la concreta carità; sì, il sogno di Dio è che nel suo popolo, tra noi credenti, circoli il suo amore, perché la nostra gioia sia piena e perché tanti siano attratti a Lui! Perciò continua dicendo: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». Ciò che manifesta eloquentemente che siamo suoi discepoli è il fatto che ci amiamo. Vedere comunità cristiane composte da persone che si vogliono bene, vedere comunità religiose dove ci si vuol bene, vedere presbiteri dove ci si vuol bene, vedere famiglie cristiane dove ci si ama è la prima e più grande forma di evangelizzazione. Il Vangelo non si diffonde per costrizione ma per attrazione!
Già nei primissimi secoli, come ricorda Tertulliano, sorgeva un'espressione di stupore nei pagani che per la prima volta venivano in contatto con i cristiani: “Vedi come si amano fra loro e sono pronti a morire l'uno per l'altro” (Apologetico, XXXIX,7).
Bellissima anche la testimonianza di Aristide: «Se tra i cristiani qualcuno è povero o indigente, ed essi non hanno il necessario per soccorrerlo, digiunano due o tre giorni al fine di inviare il cibo a questi bisognosi» (Aristide, Apologia 15,7; testo del 130 d.C. circa). Sono testi che ci fanno riflettere e chiedere: gli altri, vedendo noi, vedendo me, possono dire altrettanto?
PREGHIERA
Nella mia comunità, Signore, aiutami ad amare, ad essere come il filo di un vestito. Esso tiene insieme i vari pezzi e nessuno lo vede se non il sarto che ce l'ha messo. Tu Signore mio sarto, sarto della comunità, rendimi capace di essere nel mondo servendo con umiltà, perché se il filo si vede tutto è riuscito male. Rendimi amore in questa tua Chiesa, perché è l'amore che tiene insieme i vari pezzi. (Madeleine Delbrêl)