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TESTO Commento su Giovanni 14,7-14

Missionari della Via   Missionari della Via - Veritas in Caritate

Sabato della IV settimana di Pasqua (17/05/2025)

Vangelo: Gv 14,7-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Gesù parla di “conoscere”, Filippo gli chiede invece di “mostrare/vedere”. Alla profondità di una relazione chiamata a crescere nel tempo, Filippo contrappone un vedere/possedere istantaneo, che possa risolvere tutto in breve tempo. Se ci pensiamo bene, è un rischio frequente nel cammino di fede. Anziché crescere nell'amicizia con Gesù e nella profonda unione con Lui si cercano evidenze, visioni, apparizioni, segni tangibili che in qualche modo rassicurino. Dio stesso può essere ridotto al distributore di grazie al quale si chiedono segni tangibili per accordargli la nostra fede. Purtroppo questo stile superficiale può riguardare anche le nostre relazioni: più che l'amicizia si cerca l'interesse, più che conoscere l'altro si chiedono all'altro aiuti materiali o gesti che confermino il suo interesse per noi. Anche nei confronti di chi ha bisogno possiamo ridurre il tutto all'aiuto materiale offerto, senza conoscere la persona, senza interessarci di lei, fermandoci a dir poco in superficie. La parola di oggi ci chiama ad andare in profondità, a vivere relazioni significative: anzitutto quella con Dio e poi, di riflesso, anche con gli altri.

«La banalità, nel senso più profondo, non è solo una questione di superficialità o leggerezza. È un male sottile, che si insinua laddove il pensiero cede il passo all'abitudine, e il senso delle cose si smarrisce nella ripetizione meccanica. Hannah Arendt, nella sua riflessione sulla banalità del male, ci ha mostrato come il male più terribile possa scaturire non tanto da una volontà perversa, ma da un'assenza di pensiero critico, da una passività che accetta l'ordine delle cose senza interrogarsi. La banalità, in questo senso, è un anestetico dell'anima, che ci tiene intrappolati in una routine priva di profondità. Anche Søren Kierkegaard, con la sua analisi della disperazione, ci ricorda che dietro l'apparente normalità può celarsi una vita priva di direzione, incapace di aprirsi all'eterno. La banalità non è solo un difetto culturale: è una condizione spirituale che svuota il senso della vita, privandola di tensione e significato.

In modo simile, Milan Kundera, riflettendo sul kitsch, ci mette in guardia contro un mondo che si rifugia nel già visto, nel già detto, dove ogni complessità viene semplificata fino al punto di dissolversi. La banalità è il regno del superficiale, dove tutto è ridotto a consumo, anche i sentimenti e le relazioni.

Come cristiani, siamo chiamati a opporci a questa deriva con il logos, la parola che illumina, che apre alla verità e al significato. Romano Guardini ci invita a riscoprire nella fede “la più alta forma di pensiero”, perché essa ci spinge a guardare oltre l'immediato e a scavare nelle profondità della vita. In un tempo che celebra la mediocrità, la nostra testimonianza deve essere un richiamo alla profondità, alla riflessione, alla speranza che abita ogni frammento della realtà» (Vescovo Francesco Savino).

 

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