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TESTO Le bastò quasi un niente di luce per uscire

don Angelo Casati   Sulla soglia

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Domenica di Pasqua (20/04/2025)

Vangelo: Gv 20,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». 18Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

In un giorno come questo in cui andrebbero salvaguardati, cantati e non impalliditi i colori, io ancora una volta - e mi perdonerete - vado alla ricerca del versetto che sta all'inizio della narrazione, mi è troppo caro! Mi suona come un impallidimento averlo dimenticato per iniziare con "In quel tempo, Maria di Màgdala stava all'esterno, vicino al sepolcro", stava! Ben altro l'affaccio del racconto, eccolo: "Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio...". Mi bussa l'immagine di Maria di Magdala, cui basta quasi un niente di luce per uscire...

Mi riempie di stupore sino a intenerirmi, anche dopo anni e anni, sempre. Mi viene raccontato il giorno e un'ora, e il rumore sommesso di una porta che si schiude, il cielo, che è ancora buio, e il calpestio dei passi di Maria - e chissà dove aveva casa o dove l'aveva presa in quei giorni - sola per la strada. A noi per uscire ben altro che un brivido di luce! "Il primo giorno della settimana" è scritto. E già queste parole schiudono suggestioni: annunciano un inizio, è un primo giorno, alludono a una cosa nuova. E dunque sarebbe togliere colore, profumo e vita alla Pasqua celebrarla semplicemente come ricordo di una cosa passata e non come di una cosa che accade. Accade oggi. Vi dirò che un soffio di parole mi si sono come riaccese quest'anno e mi hanno come accompagnato in questi giorni; ad evocarle le riflessioni di una amica, monaca del monastero di Bose, nel suo ritiro di inizio quaresima, parole tratte dal rotolo di Isaia: "Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete (Is 43,18-19)?"

Siamo usciti anche noi questa mattina, come Maria di Magdala, la porta si è schiusa. E non certo per assistere a clamori di risurrezioni. Non finisce mai di stupire come nei vangeli non si metta a fuoco il momento della risurrezione, ma prendano luce, una e poi l'altra, le manifestazioni del Risorto: per strade, nel giardino, lungo il lago o in una locanda o al piano superiore di un casa, o sulla cima di un monte. E' nel giardino che Gesù va in cerca di Maria, la prima in assoluto. Maria che come ognuno di noi, ancora non riesce ad immaginare come Dio abbia fatto una cosa nuova, il nuovo più nuovo, se così si può dire. Ebbene la risurrezione è un "nuovo" che ha il passo del silenzio dei germogli, conosce una briciola di voce, il brivido di un piccolo apparire, che fa contrasto con la pretesa dell'abbagliare, l'ossessione del suonare la tromba, la frenesia del tutto subito, lo stordimento dell'immediato.

A partire da Maria, l'amica, nel cui cuore è un affacciarsi a poco a poco, tra parole minime e silenzi. Sempre a stupirmi che nell'immediato nemmeno il timbro della voce di Gesù la ridesti: "Donna perché piangi? Chi cerchi". Poi il nome, "Maria", come soffio sulla brace, con la tenerezza che custodiva: quel nome fu il segno per il riconoscimento. Gli rispose: "Rabbuni", che ha sfumatura dolce: "Maestro mio". Per lei fu come passare dalla morte alla vita. Primo germoglio; poi a non finire germogli, perché a non finire, nuova - nuova anche oggi - è la linfa' che scorre: "proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?".

E mi ritorna - non finirò di raccontarvelo - quanto accadeva, anni e anni fa, nelle nostre campagne, all'annuncio della risurrezione, quando i chierichetti, dopo essere corsi a liberare le campane dal silenzio del venerdì santo perché ritornassero a cantare a voce sgolata la risurrezione, correvano fuori dal campanile ad abbracciare gli alberi. Era festa della linfa. E mi rimane la domanda - ed è bello che mi rimanga -: "Era desiderio di portare la linfa della risurrezione o era gioia di riconoscerla nei rami presi dai brividi di una notte imperdibile? Comunque festa della linfa' che ci fa vivi e in germogliare: "proprio ora germoglia, non ve ne accorgete". Se stiamo alla narrazione dei vangeli all'inizio fu un raccontare di donne, prese per pazze. - la follia che oggi ci manca. Per questo vorrei oggi finire con voce di donna, ha un nome: Elisa Kidané, eritrea, missionaria comboniana, poetessa e giornalista. Scrive:

"E vanno le donne di ieri, nottetempo, provviste di olii profumati e coraggio inaudito...

Osano infrangere leggi di forza e di morte. Vanno, anzi no, corrono le donne di ieri
per smuovere il masso dalla tomba
per lenire ferite indelebili
per profumare il corpo straziato del loro Maestro.
Da allora, continuano ad andare le donne di oggi
con la stessa passione delle donne di ieri.
Vanno sotto gli occhi increduli delle stelle.
Vanno, e nell'intimo un presentimento antico e sempre nuovo:
la loro audacia obbligherà il Dio della Vita,
oggi, come ieri, a ripetere il miracolo,
a svuotare i sepolcri, a inventare risurrezione...
ad affidare loro anche oggi, come ieri

la prerogativa di raccontare al mondo la Bella Notizia e cantare,
nel cuore dell'umanità, inni alla vita che non muore".

 

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