TESTO Arretra il vecchio del mondo al tepore della luce
don Angelo Casati Sulla soglia
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I domenica di Quaresima (Anno C) (09/03/2025)
Vangelo: Mt 4,1-11

1Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:
Non di solo pane vivrà l’uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:
Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo
ed essi ti porteranno sulle loro mani
perché il tuo piede non inciampi in una pietra».
7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:
Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:
Il Signore, Dio tuo, adorerai:
a lui solo renderai culto».
11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
Ancora una volta frammenti, raduno frammenti; e non è detto che sempre facciano cucitura. Due li sorprendo nel brano di Gioele. Dio, pronto a ravvedersi riguardo al male. Ravvedersi. Siamo soliti presentare la quaresima come un tempo per ravvederci noi e le tinte sono abiti bui, in primo piano il nostro male. Che può sì indignare anche Dio, perché Dio è anche passione. Ma lui, per grazia, è un Dio pronto a ravvedersi riguardo al male. All'inizio non sta un volto rabbuiato. Sentite la bellezza di queste parole: "Chi sa che non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione?". Un tempo in cui Dio lascia dietro di sé una benedizione.
E' nell'aria: non la cupezza, una benedizione. Perché dico nell'aria? Perché il tempo della benedizione Dio lo desidera esteso, non rimpicciolito: "Radunate il popolo, indite un'assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti". E dunque fate quello che potete per cambiare l'aria. Da dove si comincia dalla bellezza di un Dio che si ravvede riguardo al male, non è di quelli che "peggio per te" o "te lo sei meritato" o "con te non c'è nulla da fare". No, riguardo al male lui si ravvede; e, così sino all'ultimo, sino alla croce. Gli dice - ultimo sforzo per farsi sentire -: "Oggi sarai con me in paradiso". Ecco dove arriva la benedizione. Passa Dio in questi giorni, lascia dietro di sé una benedizione: lo penso e mi si allarga il cuore. Da dove poi si comincia? Dal deserto: a suggerirlo il brano delle tentazioni di Gesù che le liturgia ci propone ogni anno al fiorire, come primavera, della quaresima. E' come se la comunità chiedesse a Matteo: "Racconta se anche Gesù, come noi, conobbe la tentazione del Maligno, il richiamo sottile e spregiudicato del male".
E Matteo, da grande artista, raduna in una rappresentazione fascinosa, con simboli potenti, le tentazioni, respinte da Gesù nell'arco del suo ministero. Che sono quelle di sempre. La ricchezza, il pane senza sudarlo: "Di' che queste pietre diventino pane"; il successo, la vita come esibizione di sé: "Gettatl giù"; il mito del dominio, monte altissimo, tutto e tutti ai miei piedi: "tutte queste cose ti darò". Un modo di vedere la vita che fa scuola ancora oggi, si insinua sottilmente in noi, semplicemente l'opposto del regno di Dio cui Gesù darà avvio sulla terra: "Beati i poveri, i miti, i non corrotti...", le beatitudini. Il racconto di Matteo da un lato può destare inquietudine per il potere che sembra attribuire al Maligno, potere di seduzione: ti porta di qui e di là, potere di influenzare, sfrontato, spavaldo. Ma se osserviamo più da vicino, il racconto fa splendere a tutto cielo e canta la libertà di resistere al male di Gesù, la forza di sostenere, viso aperto, il confronto. Apparentemente disarmato a fronte dei sofisticati mezzi in possesso dell'altro, lui vestito di umanità fragile - agli occhi dei più nessuno - schiena dritta, gli resiste.
Dopo essere stati con il fiato sospeso una scia luminosa nel racconto. La telecamera dopo essere impazzita dietro piani alti del tempio e cime di monti, dietro deliri di onnipotenza che tolgono il fiato, ora ritorna a inquadrare il deserto, ti ritrovi al piano, in una visione di incredibile serenità, oserei dire di dolcezza: "Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano". L'evangelista Marco fa un aggiunta: "Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano". E' come se Gesù ci rincuorasse: il Maligno non ha un potere assoluto, cui piegarci rassegnati. Possiamo - anche se non ci è risparmiata fatica - metterlo spalle al muro e scegliere un modo nuovo di leggere la vita, quello custodito nelle parole e nei gesti del Signore Gesù. Se mettiamo a contatto di luce la vita, arretra il vecchio del mondo che si è annidato in noi; e al tepore della luce un fiorire, in noi e sulla terra. E' giunto il tempo - mi sembra - che si raccolgano annunci di speranza: il male è arrendersi a chi strumentalmente genera disfattismi e chiama alla resa.
Anche i rami, che nell'inverno nudi sembravano alludere alla fine di tutto, oggi si inteneriscono, si protendono gli uni verso gli altri, da un lato all'altro della strada. La linfa scorre nel segreto: li abitava un segreto desiderio di abbracciarsi, intenerimento da fragilità. Facciamo parlare la speranza. E' quaresima, mandiamoci parole e immagini in soccorso della sorellina speranza. Non importa quali. Mi si associa per grazia una foto, inoltrata da una amica giorni fa: tra le macerie di Gaza una tavolata per la fine del primo giorno di Ramadam, banchetto dei poveri a nutrire sogni. Mettiamo a contatto di vita parole e immagini in soccorso della bellezza. Oggi chiuderemo la celebrazione con il rito delle ceneri: la cenere di cui veniamo cosparsi è quella dei rami d'ulivo, l'albero che è stato testimone dell'estremo patire di Gesù, la notte dell'agonia nel Getsemani. Ebbene nelle antiche culture agricole, la cenere di alcune piante veniva mescolata e gettata nel solco insieme al seme; serviva a rianimare quel seme, a dargli vigore. "La cenere che ci viene posta sulla fronte" scrive padre Vannucci "non è segno di cordoglio, di penitenza, ma essendo la cenere di ulivo, simbolo di Gesù, indica che veniamo rianimati dall'essenza di Gesù.
Non è perciò un gesto dì penitenza, ma gesto di rianimazione, perché Gesù cresca e giunga in noi a maturazione. Il credente diventa vivente, come la terra del primo uomo che, per il soffio di Dio, si trasformò in carne viva, consapevole del suo grande destino". Quasi a eco le parole di papa Francesco dal luogo della sua fragilità: "Le ceneri ci ricordano che siamo polvere, ma ci incamminano verso la speranza a cui siamo chiamati, perché Gesù è disceso nella polvere della terra e, con la sua Risurrezione, ci trascina con sé nel cuore del Padre".