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TESTO Quando la luce fa nido negli occhi

don Angelo Casati   Sulla soglia

Presentazione del Signore (02/02/2025)

Vangelo: Lc 2,22-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Il tempio, in cui quel giorno entrarono, non c'è più. C'è solo un muro, il muro del pianto. Ora c'è solo un immenso pianto. Da tutta quella terra. Ma quel giorno, come ogni altro giorno, chi arrivava al tempio - e quindi possiamo supporre anche Maria e Giuseppe - non poteva non alzare lo sguardo e non incantarsi a tanta infiammata magnificenza. Poi gli occhi giocoforza si abbassarono. E fu ingresso, giorno feriale, nessun fasto, un giorno qualunque. Nato di quaranta giorni quel bambino, quasi invisibile, tra braccia tenere, nascosto sotto uno scialle: quasi un "non ingresso" per un Dio, nascosto sotto scialle, in mezzo a un andare e venire di coppie, brusio leggero, piano terra.

Non le moltitudini, un normale fluire. Nessuna vistosità, niente di straordinario. Il rituale preciso, prima la purificazione di una donna, che in quel caso di peccati di cui purificarsi non ne aveva. Ma dovremmo anche aggiungere che è stato scandaloso pensarlo di ogni donna, che sporco fosse ciò che Dio stesso aveva creato: "E vide che era cosa molto bella". Il sacerdote la purifica. E accadde per secoli. Poi presentarono quel bambino. Chissà come furono i pensieri del sacerdote quando lo prese tra le braccia, il tempo di una preghiera; lo riconsegnò, ma dopo esborso di una offerta, offerta povera, quella era gente povera. Per il sacerdote via una coppia un'altra, forse lo strascicarsi di un'abitudine. Ma per Maria e Giuseppe era il gorgogliare di un gesto antico che raccontava gratitudine: la racconti donando a Dio le primizie e non sai se te ne verrà altro di figli o di prodotti della terra o di animali. Dio i primogeniti te li ridona e la presentazione di un figlio diventa occasione di gratitudine, come un battesimo.

Maria e Giuseppe, nessuno li sentì cantare, fu canto nel cuore, a Dio, di gratitudine, per quel figlio, figlio loro e figlio dell'Altissimo. Il canto fu dentro. In eccesso forse le parole del profeta Malachia, convocate a commento del nostro brano. Che celebrano un ingresso imponente, di fuoco. L'ingresso di Gesù ha connotazione di silenzio; lo svelamento ha come platea due persone: un uomo, una donna. Accade a lato. A lato del rito, a lato dei numeri che tanto ci appassionano, a lato dell'imponenza cui attribuiamo splendore. E non sarà un segnale per noi questo accadere delle cose più vere ai margini, nel silenzio e nella piccolezza, per noi malati di spettacolarità? Il vero evento accade nella inavvertenza generale: una coppia povera, un neonato, Simeone e Anna. Ed è di una bellezza, che ci incanta, ci conquista, ci commuove.

E noi siamo a guardare, tutt'occhi e tutto cuore. Ed è come se il racconto si animasse per via di nomi dentro un anonimato, ecco Simeone, ecco Anna. Si reca al tempio Simeone, uomo pio e giusto, ha negli occhi l'attesa di secoli; sopraggiunge Anna, una profetessa, sua passione servire nel tempio. Loro fuori l'orario di un rito; senti come gorgogliare di acqua in quel loro improvviso sopraggiungere, nella fede e nei sentimenti che li hanno condotti; senti spontaneità, freschezza, nelle parole. Lo Spirito non lascia fermi, ha prerogativa di muovere e Luca per ben tre volte fa cenno allo Spirito parlando di Simeone: per dire che era sopra di lui, per ricordare che dallo Spirito gli era venuta la promessa di vedere il Messia, per dire che a sospingerlo al tempio quel giorno fu lo Spirito: "mosso dallo Spirito". E mi si accendono ritagli di pensiero. Non sarà che tutto passi uguale nella vita, senza riconoscimento di doni preziosi, anche del Dono più prezioso, perché siamo insensibili allo Spirito, impermeabili, quasi l'avessimo spento, con il rischio di vivere sì, ma come fossimo disanimati?

E che grazia sarebbe essere qui questa mattina anche noi mossi dallo Spirito e avere sulle labbra parole quasi canto come Simeone. Quasi da innamorato: ora può anche andarsene, i suoi occhi hanno visto la salvezza. Sono occhi di un vecchio, ma colmi di luce. E chiama luce quel bambino, non solo, ma di quella luce canta l'universalità: "Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele". Questa festa aveva nome di Candelora, canta alla luce. E ricordessimo che siamo canto, canto di Dio, quando abbiamo passione di universalità. Portiamo riverberi di luce quando negli occhi abbiamo l'anelito della pluralità. Poi sopraggiunge Anna, spesso il brano lo chiudiamo con Simeone, così come spesso Simeone lo vestiamo con abiti pontificali, mente veniva dalle strade. Si affaccia e da subito il mondo delle donne. E il vangelo lo annota: il riconoscimento venne da un uomo e da una donna. Il racconto di Gesù, che troveremo su labbra di donne nel giardino della risurrezione, è già dall'in principio su labbra di una donna, Anna.

Profezia per voce di donna: "Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme". All'inizio a raccontare ci furono donne, poi furono silenziate. Oggi ricordiamo Anna, la ricordiamo difendendo il suo nome di profetessa e dando lode a Gesù, lui anche per questo luce. Perché, come scrive Lidia Maggi, pastora battista: "ha aiutato le donne ad uscire dall'invisibilità, dall'anonimato, dal chiuso delle case, aprendo loro prospettive più ampie. Egli annuncia loro che il mondo può essere più ampio dei confini patriarcali, delle mura di casa".

Questa festa canta la luce, canta Gesù luce del mondo, canta la luce su ogni volto.

 

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