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TESTO La sete di Cristo

mons. Antonio Riboldi

VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (26/02/2006)

Vangelo: Mc 2,18-22 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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18I discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da lui e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». 19Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. 20Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno. 21Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore.

22E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!».

Se si hanno ancora "occhi" per fissare chi ci è vicino, un "fissare" con bontà, come a voler farsi partecipe di quello che, chi ci sta vicino, "è", interiormente, là dove pochi sanno entrare, o facciamo entrare, come fosse la nostra stanza segreta, tante volte si nota una grande tristezza, come un senso "di vuoto di vita".

Vi confesso, come ad amici, che quando incontro qualcuno che ha desiderio di essere conosciuto, di farsi "visitare dentro", mi viene da fissare la persona che mi sta di fronte. Quasi sempre questa persona permette, per la fiducia che ha, che io entri nella sua "stanza segreta", e tante volte, troppe volte, noto un senso di vuoto, di infinita sofferenza a cui non si sa dare una ragione, e nello stesso tempo gli occhi si riempiono di lacrime, perché qualcuno ha portato la luce della amicizia, che sono "mani tese" per trovare il senso della tristezza o del vuoto. Quando il Padre ci ha donato la vita, ha dato anche un senso a questo dono: quello di conoscere il suo amore, di farne parte e di amare. Poi le vie della nostra esistenza, crescendo, si perdono a volte in tanti deserti che mettono a nudo la nostra infelicità, perché non c'è Chi ti doni o dica la ragione dell'esistenza.

Suonano come grande nostalgia, tesoro nascosto dei santi e dei veri cristiani, quelli cioè che con semplicità di vita si fanno amare da Dio totalmente e Lo amano senza condizioni, le parole che oggi ci offre il profeta Osèa: "Così dice il Signore: Ecco, io la attirerò a me, la condurrò nel deserto, e parlerò al suo cuore. Là canterà, come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore" (Os 2,14-20).

Lo vogliamo o no, non è possibile vivere "senza sapere perché vivo e per chi vivo". Tutto quello che non è amore è alla fine un peso fastidioso o dannoso. Abbiamo bisogno di farci "fissare negli occhi", fino al segreto dell'anima, da Dio, per almeno renderci conto per chi e perché viviamo. E sappiamo tutti che amare vuole dire farsi dono, senza avere nel cuore intrusi che tolgano spazio a chi si ama. E' così l'amore vero, lo si voglia o no, nel matrimonio, verso il prossimo e ancora di più per Dio.

Cercare di mettere insieme Dio e l'io, l'amore e l'egoismo, è tradire noi stessi e la bellezza che Dio ha messo a nostra disposizione. Non si può amare a metà. E' l'assurdo in cui tanti credono, e così si rischia di avere due padroni e a due padroni, dice Gesù, non si può servire.

Stare con Dio è condividere tutto con Lui. Dice Gesù oggi: "Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio, altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi" (Mc 2,18-22).

L'omicidio assurdo di don Andrea, missionario in Turchia, proprio nel momento più bello di un sacerdote, ossia quando pregava, colpevole solo di essere cristiano, ha scosso tanti, mettendo a nudo la nostra fede e appartenenza a Cristo che, davanti a lui, ci fa abbassare gli occhi per la vergogna. Ma nello stesso tempo ci fa sentire la voglia di uscire allo scoperto e avviarci verso Gesù, come otre nuovo in cui Lui versi vino nuovo.

Dio mi fa dono di partecipare a tanti convegni o incontri, ovunque, con tanta, ma tanta gente, giovani anche, che ha "sete di infinito, di Dio, di amore": ossia di tessere quello che il Padre ha voluto siamo, facendoci dono della sua vita: belli come Lui, felici come Lui, sempre con Lui. E dovunque - questo è davvero segno positivo che suscita speranza, grande speranza, - mostra la grande sete di Dio.

I vescovi italiani, nel presentare il Convegno che si terrà a Verona, così introducono il documento di preparazione: "Una Samaritana incontra Gesù al pozzo di Giacobbe...Egli le chiede: "Dammi da bere". La sete di Gesù è segno del suo ardente desiderio che la donna e con lei tutta la gente della città si aprano alla fede. Gesù ebbe sete così ardente della fede della Samaritana, da accendere in lei la fiamma dell'amore di Dio. Anche la donna da parte sua domanda dell'acqua: Signore, dammi di quest'acqua perché non abbia più sete" (Gv 4,13-15). La Samaritana ci rappresenta. Ogni persona umana ha sete e passa da un pozzo ad un altro, un vagare incessante, un desiderio inesauribile, rivolto ai molteplici beni del corpo e dello spirito. Nel nostro tempo questa ricerca sembra addirittura tumultuosa: produrre e consumare; possedere e consumare; possedere molte cose e fare molte esperienze; cercare sempre il piacere e l'utile immediato, tutto e subito.

Molti però hanno la sensazione di correre senza una meta, di riempirsi di cose che risultano vuote. Molti lamentano un impoverimento di rapporti umani, anonimato, estraneità, incontri superficiali e strumentali, emarginazione dei più deboli, conflittualità e delinquenza. Tutto contrasta con quello che sembra essere il nostro anelito profondo: essere amati e amare. Nel cuore di ogni uomo vi è un desiderio di salvezza. Il Signore suscita la sete e dona l'acqua viva dello Spirito, che sazia per sempre la sete di infinito di ogni persona. "Occorre essere sinceri e onesti con se stessi. E' necessario prendere sul serio le grandi domande che ognuno si porta dentro: chi sono? da dove vengo? dove sto andando? E ancora: la realtà è assurda o ineleggibile? la vita è un dono o un destino cieco? o un caso? perché questa sete che nessuna conquista riesce ad estinguere? che cosa devo sperare e che cosa devo fare?

Se vengo dal nulla sembra che ci sia nulla da fare, se non lasciarsi andare alla deriva. Se invece vengo dall'Amore infinito e vado verso l'Amore infinito, ecco che mi si apre davanti un cammino, difficile forse, ma pieno di significato...Chi evita le domande fondamentali, fugge da se stesso...Indifferenza, edonismo e attivismo non sono una soluzione, ma una evasione irresponsabile. "Chi ha sete venga a me, chi vuole attinga gratuitamente l'acqua della vita" (Ap 22,17)" (Doc. Vescovi "la sete di Cristo").

E' la risposta a quel "vuoto di vita" che nascondiamo gelosamente nella nostra "stanza segreta": un segreto che solo lo sguardo di Cristo, fissandoci negli occhi, sa mostrare e sanare.

Non si può vivere un amore, come è la nostra fede, a metà. E' ingannarsi. Purtroppo a volte lo facciamo e...siamo infelici. Ma una volta che si soddisfa quella "sete", davvero si entra nella gioia.

Ho avuto il dono di conoscere tante, ma tante persone, nella mia vita pastorale che, raggiunte dalla Grazia, anzi come un vero prodigio della Grazia, non hanno cercato di porre rimedio con qualche buon proposito, ossia una toppa nuova su vestito vecchio, ma si sono lasciate indossare da Dio un vestito tutto nuovo.

Tanti di voi, certamente, avranno sentito parlare o letto qualche poesia di quel grande poeta del secolo scorso che era Clemente Rebora. Era uomo di grande valore: poeta affermato, conoscitore della letteratura russa, pianista, e tutto quello che vogliamo, per coltivare i tanti talenti - doni di Dio, in modo eccezionale. Ma per anni viveva come se Dio non ci fosse, forse da ateo o ricercatore di un infinito cui non voleva dare nome.

E venne il momento di dire a qualcuno l'insoddisfazione che era il vuoto dell'anima, insopportabile. Si confidò con l'allora vescovo di Milano Card. Shuster che, a sua volta, conoscendo Padre Bozzetti, superiore dei Padri Rosminiani, altro santo che sapeva "leggere le anime", lo indirizzò a lui. Si capirono subito e avvenne l'inizio di una nuova vita, ossia "vino nuovo in otre nuovo".

Clemente Rebora "cancellò" tutto, ma proprio tutto, del suo passato, come fosse una esperienza da gettare dietro le spalle, e, certamente preso per mano dalla Grazia, non solo si convertì, ma volle fare dono della sua vita, consacrandosi con la vita religiosa proprio tra i Padri Rosminiani. E lo fece con la serietà dei santi.

Era mio Confessore da Novizio, per due anni ed ogni settimana mi confessavo da lui. In quella atmosfera mistica, che era il noviziato al Calvario di Domodossola, era quasi impossibile conoscere il male...ma qualche piccola mancanza c'era sempre. E ricordo che, agli occhi di Padre Rebora, tutto sembrava una inammissibile ferita al Cuore di Cristo e piangeva. E io non capivo la ragione.

Ebbi la grazia di trascorrere con lui qualche mese di vacanza, negli anni della mia giovinezza, alla Sacra di S. Michele nella Valle di Susa. Passava le sue giornate tutto assorto nella preghiera e nello studio. Ma uno studio che portava a conoscere sempre più Dio. Il resto, che lo aveva reso famoso come poeta del '900, non esisteva più. Nel momento in cui decise di cambiare vita, bruciò tutto: poesie scritte e mai stampate, un dizionario prezioso, e tutto il resto finì nella spazzatura. C'è una poesia meravigliosa, conservata, in cui descrive la gioia di questa rinascita, intitolata "lo spazzino".

Alla Sacra gli servivo la Messa ed era un vero dialogo con Dio. Passeggiando parlavo con lui di musica, di letteratura russa e via dicendo e lui si comportava come non ne avesse mai sentito parlare. Annuiva e basta.

Insomma quando si accetta quell'acqua di Gesù, la vita è altro. Come dice il salmista: "L'anima mia ha sete del Dio vivente: quando vedrò il suo volto?"

 

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