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TESTO Toccate la pelle e guardate dai monti

don Angelo Casati   Sulla soglia

5a domenica Tempo di Avvento (anno C) (15/12/2024)

Vangelo: Gv 3,23-32a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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23Anche Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché là c’era molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare. 24Giovanni, infatti, non era ancora stato gettato in prigione.

25Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale. 26Andarono da Giovanni e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui». 27Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. 28Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. 29Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. 30Lui deve crescere; io, invece, diminuire».

31Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. 32Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza.

Durante l'Avvento il Battista prende spazio nel racconto. Di lui oggi parla il brano di Giovanni. Di lui e di un anelito a un nuovo corso, quasi palpabile nell'aria in quei giorni, l'attesa di un ricominciamento: abbandonare l'aria asfittica che impregnava di sé società, religione, costumi, e immergersi in acqua corrente: lavarsi la faccia, purificare pensieri e vita, qualcosa di genuino. Forse non era così paralizzante, come sembrano oggi, la delusione e lo scoramento. La gente accorreva al battesimo di Giovanni e ora correva voce che stesse battezzando anche Gesù o, se non lui, i suoi discepoli.

Ed accade sempre così. C'è chi coglie nell'aria l'attesa di qualcosa di autenticamente nuovo e chi invece perde tempo a mettere a confronto rituali di purificazione, numeri dei sondaggi: "E chi battezza di più e chi di meno? Gesù o Giovanni?". A volte ancora oggi ci perdiamo in discussioni che sono pura accademia, non toccano la pelle della gente, quando il vero problema non è escogitare aggiustamenti di un sistema, ma un cambio di orizzonte. Ci siamo spalancati al mondo e paradossalmente abbiamo ristretto orizzonti, chiuso pensieri, chiuse finestre e porte, chiusa la terra, orizzonti pallidi. Siamo venuti a patto con la meschinità. Mi ritorna la parola "maestro" che era nel brano di Isaia. Maestro ha radice da "magis", "di più", abbiamo bisogno di un di più in visione. E' il vero dono.

E' scritto: "Non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: "Questa è la strada, percorretela". Le parole basse ci abbassano e abbassano la terra, quelle dal cielo ci innalzano e innalzano la terra. E, a proposito di "maestro" - voi ricordate - Gesù dirà: "E non fatevi chiamare Maestro, uno solo è il vostro maestro, il Cristo". Lui ha parole che hanno altezza, è come guardare dai monti. Avvento allora è dare spazio al maestro e stare in visione degli orizzonti che le sue parole perdutamente aprono. Da qui un rinnovamento di noi stessi e della terra. Smascherando troppe lucentezze vane e false, appariscenti e seducenti, ma vuote.

Sempre oggi il profeta metteva in guardia: "Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte d'argento; i tuoi idoli rivestiti d'oro getterai via come un oggetto immondo. "Fuori!", tu dirai loro". Per inciso vorrei dire - ma voi lo avete intuito - che quella di Gesù non è una sconfessione dei maestri in quanto tali, ma di quelli che anziché aprire chiudono, di quelli che anziché appassionare disamorano, di quelli che anziché liberare legano. E mi si schiude una immagine del Messia insolita nelle parole del Battista, che per lo più sono parole spigolose, oserei dire da scartavetrare.

Non dico che cambi i connotati del Messia, ma riapre un'immagine, nello stesso tempo antica e nuova, quella dello "sposo" dando al Messia il nome di "sposo del popolo di Dio". Già il Testamento antico dava in alcune delle sue pagine a Dio la amorevolezza dello sposo, i sentimenti del'innamoramento. Lui, Giovanni, si sente come "l'amico dello sposo", che prepara la festa di nozze dell'amico. Non usurpa il posto. E per noi è un ammonimento al delirio di essere così preminenti ed esclusivi da togliere il posto a Gesù: gli occhi per noi! Ma un altro pensiero mi batte in cuore all'immagine dello sposo, quella dell'intimità: la tenerezza, la gioia dei giorni in cui si è innamorati, la fantasia che bussa alla persona che si ama: Il Messia, una presenza di gioia, una fede non sospettosa, non intimorente, non catturante, ma liberante.

E' così che, riandando a un passo di Luca, mi sono chiesto se siamo rimasti alla fede dei discepoli di Giovanni o siamo approdati alla fede nel Messia Gesù. Ricordate? Dissero a Gesù: "I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!". Gesù rispose loro: "Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno". E gli venne la parabola del vestito nuovo, del vino nuovo in otri nuovi. Un modo nuovo di vedere fede e vita, una fede che non è per la morte della bellezza, della gioia, dell'amore, ma per ricostruire le devastazioni della bellezza, della gioia, dell'amore, il vestito nuovo e gli otri nuovi.

Certo negli occhi ci abita e ci pesa tutta la tristezza del mondo, ma arde indomabile in un nido una piccola luce che sostiene anche le giornate affaticate, le speranze spaurite: il Messia non abbandona, per troppo amore; e il suo, come dovrebbe essere ogni amore, è un amore liberante. Per questo - voi mi perdonerete, sarà per troppo sgomento per quanto sta accadendo - ho sentito come un inciampo un verbo riferito da Giovanni al Messia, dice: "Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa"- "Appartenere" è il verbo che sta all'origine di una fiumana buia, che sembra inarrestabile, di femminicidi e non solo: "Tu sei mia, mi appartieni!". Il verbo greco ha anche altri significati. Ho ripercorso il dizionario greco e ho trovato che il verbo può anche significare "Tenere alto".

Forse con un pizzico di arbitrio, vorrei ritradurre: "Lo sposo è colui che tiene alto la sposa". E' quello che fa Dio con noi, ci tiene alto. Ed è questo che ci insegna: non a possedere, ma a tenere alto, a far fiorire. Donne, uomini, terra.

 

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