TESTO Andate e riferite
don Angelo Casati Sulla soglia
3a domenica Tempo di Avvento (anno C) (01/12/2024)
Vangelo: Lc 7,18-28

18Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni 19li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 20Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». 21In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. 22Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. 23E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
24Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 25Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. 26Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 27Egli è colui del quale sta scritto:
Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero,
davanti a te egli preparerà la tua via.
28Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui».
Può fare meraviglia leggere del Battista, il profeta roccioso del deserto, sfiorato da un dubbio. "Chiamati due dei suoi discepoli li mandò a dire al Signore: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?"". C'è da capire: la domanda non viene dalle sabbie del deserto, viene dal buio di un carcere dove Giovanni è rinchiuso. Quante domande - immaginate - ci si fanno in un carcere, anche su Dio, il Battista su Gesù. E beate - vorrei dire - le domande, beate perché aprono fesssure. E noi non avremo mai finito di aprirle - domande e fessure - su Gesù. Ma che cosa era capitato? Al Battista in carcere giungevano voci: le visite, almeno quelle, al dire del vangelo, non erano vietate. Come poi fossero le carceri allora possiamo immaginare; sappiamo purtroppo come sono le nostre oggi, e gridano al cielo disumanità.
Facevano visita a Giovanni i discepoli, di certo raccontavano. Anche di Gesù. Non era stato lui per il primo, Giovanni, ad annunciare che il Rabbi di Nazaret lo avrebbe sorpassato? Ma ora le notizie che gli giungevano, passo dopo passo, svelavano anche la distanza. Lui per chiamare a conversione aveva scelto il deserto; la missione di Gesù sembrava privilegiare altro: un camminare instancabile, un andare per strade e per case, lungo il lago e sui monti; e poi quasi totalmente proiettato in quel suo prendersi cura, guarire da ferite di corpo e di anima e sollevare da fatiche. I suoi discepoli il Battista li aveva educati al digiuno; non così Gesù, i suoi non digiunavano, che anzi li difendeva se in giorno di sabato si permettevano di sgranare spighe di grano dai campi. Mangiava con pubblicani e peccatori. E ora al profeta del deserto in carcere giunge notizia di quanto era appena accaduto a Cafarnao.
Che il Rabbi di Nazaret, visto com'era, provasse compassione per un servo, malato grave, di un centurione, un pagano, poteva anche immaginarlo. Ma quella sua esternazione a pieno cielo, sulla strada, in faccia a tutti, una frase a dir poco dirompente, era da brivido, era il crollo di steccati secolari, era capovolgimento di orizzonti, parole sconcertanti, e con quel tono, poi, della autorevolezza, "io vi dico", il tono che usava quando le parole per lui erano inviolabili, imperdibili - e gli occhi erano a un pagano -: "lo vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!". Non era troppo? Giovanni manda a dire: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?".
E lui Gesù dà il segno di riconoscimento. Segno di riconoscimento è quello che tutti vedono, segno di riconoscimento sono i gesti di cura, il suo prendersi cura. Non aveva forse detto che un albero lo si riconosce dai frutti: albero cattivo, frutti cattivi; albero buono, frutti buoni? Ecco il segno di riconoscimento: "In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: "Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!"".
Perdonate, anche queste parole di Gesù vanno lette con attenzione da noi e da chiunque fra noi cerca fessure, da cui scoprire il segreto di Gesù. Tradiremmo le parole se le leggessimo come il segno di un Messia che si autodefinisce e celebra se stesso con la spettacolarità dei miracoli, da innalzare a trionfo. Le parole fanno segno a un Messia della cura che si abbassa, si abbassa a toccare con amorevolezza una umanità dolente. E beato chi non si scandalizza di un Dio che si abbassa; e non fa miracoli per sé, non scende dalla croce. E' sì un capovolgimento. Di visione. Non è venuto per mettere una pezza di stoffa nuova su un vestito vecchio, lo strappo sarebbe peggiore, né vino nuovo in otri vecchi, vino nuovo in otri nuovi. Dunque i gesti della cura sono l'identità, la novità. "Andate e riferite".
Anche alle donne e agli uomini del nostro tempo. Raccontate la sua identità, la sua novità, ciò che è nuovo e ciò che è vecchio. E permettete che oggi del Messia Gesù metta in luce un'arte che si accompagna a quella di 'passare facendo il bené ed è l'arte di 'scorgere il bene e di dare al bene visibilità'. Giovanni arriva con un dubbio e lui tesse l'elogio di Giovanni e della sua missione. Dare visibilità al bene. Oltre i confini che noi spesso diamo al bene. Lui arriva alla fede del centurione pagano, e non si limita a sorprenderla. Vuole che apriamo gli occhi e che la sorprendiamo anche noi. Oltre i confini. Che Dio e il suo Messia non hanno. In questo orizzonte vorrei solo sfiorare il brano del profeta Isaia. Dio si serve di un imperatore pagano, Ciro, lo chiama suo "eletto", lui che il nome di eletto lo dà al suo popolo. E nel brano a colpirmi una congiunzione concessiva "sebbene", che come vento abbatte steccati che sono duri a cadere, "sebbene".
Ecco i passaggi, riguardano Ciro: "Io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca". E ancora: "Ti renderò pronto all'azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall'oriente e dall'occidente che non c'è nulla fuori di me". "Sebbene tu non mi conosca": donne e uomini che operano il bene sebbene non conoscano Dio. Che so io? "Ero straniero, mi hai ospitato...": dirà loro il Signore. "Ma quando mai?". "Quando lo hai fatto a uno di questi piccoli, fragili, deboli...". E il ripetersi del "sebbene tu non mi conosca". C'è molto da imparare: cancellare le presunzioni, scorgere il bene ovunque sia, e darne visibilità.
Raccontiamolo. Fuori dai vecchi schemi. Vino nuovo.