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TESTO Il peccato, pericolosa paralisi

mons. Antonio Riboldi

VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (19/02/2006)

Vangelo: Mc 2,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa 2e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.

3Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. 4Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. 5Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati».

6Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: 7«Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». 8E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? 9Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? 10Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, 11dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». 12Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».

Capita a tutti noi di imbatterci sempre più frequentemente in uomini o donne, di ogni età, che o sono totalmente o parzialmente paralitici. Sono quelli che a volte noi chiamiamo, i "disabili". E' mortificante e doloroso avere mani e non poterle usare, avere voce e faticare anche solo a spiccicare parole che stentan ad essere comprese, avere piedi e non poter camminare e quindi affidarsi alla pietà di chi ci vuole bene e si fa nostra "mano", "voce", "piede"...magari accompagnandoci su carrozzelle, che, a volte, con la loro meccanica, permettono di essere sufficienti nel muoversi. Si calcola che, in Italia, siano quasi otto milioni questi disabili, non sempre riconosciuti ed aiutati nella loro realtà e dignità. In questi casi il disabile ha veramente bisogno e diritto di essere riconosciuto pienamente nella sua dignità e quindi aiutato dalla società a sentirsi "uguale"!

Da queste mie riflessioni sul Vangelo, va un caldo saluto ed un abbraccio a quanti forse sono immobili fisicamente, ma tante volte hanno un cuore ed una bontà che ci supera tutti. Persone che amano e vanno amate con una dose maggiore di amore. Questa è la vera civiltà e solidarietà che siamo chiamati tutti a costruire. E' bello essere loro Cirenei nel portare la loro dura croce!

Tante volte ci danno lezione di fede e bontà, che sono la loro vera pienezza di vita interiore.

Vengono in mente le parole che il S. Padre pronunciò nella Via Crucis lo scorso anno a commento della terza stazione "Gesù cade la prima volta sotto la croce": "Nella caduta di Gesù sotto la croce - afferma - appare l'intero suo percorso, il suo volontario abbassamento per sollevarci dal nostro orgoglio. E nello stesso tempo emerge la natura del nostro orgoglio, la superbia con cui vogliamo emanciparci da Dio non essendo nient'altro che noi stessi, con cui crediamo di non aver bisogno dell'amore eterno, ma vogliamo dar forma alla nostra vita da soli. In questa ribellione contro la verità, in questo tentativo di essere noi stessi Dio, di essere creatori e giudici di noi stessi, precipitiamo e finiamo per autosconfiggerci. L'abbassamento di Gesù è il superamento della nostra superbia: con il suo abbassamento ci fa rialzare.

Lasciamo che ci rialzi. Spogliamoci della nostra autosufficienza, della nostra errata smania di autonomia e impariamo invece da Lui a trovare la nostra vera grandezza, abbassandoci e volgendoci a Dio e ai fratelli calpestati" (Terza stazione).

Il racconto del paralitico, che oggi Marco ci fa ascoltare, mette al centro della attenzione un paralitico da una parte, le persone che lo calano dal tetto, non potendo entrare dalla porta di casa dove era Gesù, e quindi la loro immensa fede, ed infine la compassione di Gesù che, per guarirlo, usa un linguaggio che sorprende e scandalizza gli scribi: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati".

"Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo? Ma Gesù avendo conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i tuoi peccati o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino, alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua. Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: Non abbiamo mai visto nulla di simile" (Mc 2,1-12).

La domanda che fa Gesù, se cioè è più facile perdonare i peccati o dare la salute ad un paralitico, ci mette veramente in crisi, se abbiamo ancora il rossore dell'anima guardando dentro, a volte, le nostre paralisi. C'è tanta gente, molta, ma molta di più, dei veri disabili o paralitici, che vive, vicino a noi, o a volte siamo noi stessi verso gli altri, che ci fa sentire "paralitici dentro", ossia incapaci di fare qualcosa di buono, come se il male, gli sbagli o i vizi che sono le nostre infinite cadute, tolgano la voglia di alzare gli occhi al cielo, di vivere. E ci muoviamo, apparentemente ci divertiamo: nessuno sa che dentro siamo "come paralitici" e che se potessimo urleremmo dalla rabbia...ma copriamo tutto questo con un sorriso, che tutto ha, per la formalità, fuorché la natura del sorriso, che è sempre e solo voglia di donare la gioia che si ha dentro...ma che non c'è. A volte, perdiamo persino il senso del male che il peccato produce in noi.

Forse ce ne rendiamo conto e, nello stesso tempo, come appena accusiamo un male fisico corriamo da medici e specialisti, perché ci sta a cuore la salute del corpo, così ci rechiamo, oggi, dagli "specialisti dell'anima", quando il nostro malessere interiore ci rende come paralitici. E questi, tante volte, alla fine ci imbottiscono di ansiolitici, che oggi sono un formidabile affare farmaceutico, ma non riescono che a darci un'apparente serenità, che tale non è. Ci vuole una guarigione "dentro", che solo Dio può operare con la sua misericordia, attraverso la penitenza.

Una parte della mia vita pastorale l'ho dedicata a incontrare terroristi e criminali nelle carceri. Era difficile il discorso di Gesù: "Alzati, ti sono rimessi i tuoi peccati...prendi il tuo lettuccio e torna a casa". Avevo come l'impressione, a volte, di essere di fronte a uomini o donne di una durezza di cuore, che fa perdere anche il senso della bellezza della vita. E la loro vita era un inferno. Eppure qualche volta dire loro che c'era un Padre misericordioso, pronto a ridarci pienezza di vita, lasciava come una nostalgia. Ma ci voleva il miracolo della conversione. E quando avveniva tutto cambiava aspetto.

Porto nel cuore tanti loro volti, che volevano tornare al sorriso della vera felicità dell'anima. Mi diceva un terrorista un giorno: "Caro Padre, lei crede in Dio, io ho tanti dubbi e non so pregarlo. Quando lei Lo incontra e prega gli dica a nome mio che ho un solo desiderio, tornare ad essere bambino, con il cuore buono del bambino che si arrabbiava solo quando vedeva altri picchiarsi".

Così come non dimenticherò mai il lungo pianto di una giovane, che era sul punto di togliersi la vita, perché "dentro era come morta" e questa vita non interessava più. Alla fine mi si gettò al collo e mi disse: "Padre mi ridia la gioia della vita. Se non può lei, lo chieda a Dio che è un Padre misericordioso". E questo miracolo avvenne. Ora questa donna è madre felice e cerca questa felicità nella fede e nella bontà di donarla e difenderla nei figli.

Così come incontrando un uomo, all'apparenza distinto, che faceva servizi umili in un ristorante, seppi che era stato uomo "di mondo", ma Dio gli aveva cambiato il cuore e lui ricambiava il dono con il servizio umile.

E sapeste come è per noi, sacerdoti e vescovi, un immenso dono del Padre quello di stendere le mani sul capo di un uomo o donna e dire: "Va' in pace, ti sono rimessi i tuoi peccati". E' come vedere in quel momento il Padre della parabola del figlio prodigo: va incontro al figlio che, "rientrato in se stesso, torna a casa", e lo abbraccia con un amore che è il vero tesoro cui dovremmo ricorrere tutti, e dice "Facciamo festa perché questo mio figlio era morto ed ora è risorto".

Ma riusciremo noi a capire il Cuore di Dio pronto a dirci: "Figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati, alzati e torna a casa tua"? Bisognerebbe almeno una volta vedere il volto pieno di felicità di quanti si sono lasciati attirare dalla pietà di Dio e sono usciti dalla paralisi interna. Solo allora si capisce cosa significhi incontrare la Misericordia.
Dice il profeta Isaìa oggi:

Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Il popolo che io ho plasmato per me, celebrerà le mie lodi. Invece tu non mi hai invocato, o Giacobbe, anzi ti sei stancato di me, o Israele. Tu mi hai dato molestia con peccati, mi hai stancato con le tue iniquità. Io cancello i tuoi misfatti per riguardo a me, non ricordo più i tuoi peccati" (Is 43,18-25).

 

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