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TESTO La buona fragranza del pane disceso dal cielo

don Michele Cerutti

IV domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (22/09/2024)

Vangelo: Gv 6,41-51 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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41Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Gesù ha compiuto il miracolo della moltiplicazione per sfamare le folle affamate. Queste, una volta sazie, si mettono a seguire il Maestro che tuttavia li invita ad entrare in profondità e non limitarsi al pane che perisce, ma quello che conduce alla vita eterna.

Un discorso complesso in cui qualcuno inizia a girare le spalle e sembra infastidito perché un Rabbì non può provenire da un ambiente ordinario come quello che Gesù ha alle spalle quindi si può fare a meno di ascoltare.

Questo dimostra proprio il male che fa il pettegolezzo ci mette in difficoltà e come può distrarre dalla strada ritta che il Signore disegna.

Il Signore è passato nella vita di molti di tanti che lo avevano seguito e ne avevano apprezzato i benefici, ma nello stesso tempo è bastato una voce fuori posto di qualcuno per disperdersi in ragionamenti molto bassi.

Tutto questo clima di mormorazione che da sempre accompagna l'esperienza del popolo nel deserto e che riaffiora in questi versetti conduce Gesù a riportare i suoi interlocutori su un aspetto fondamentale per cui la fede non entra in logiche umane, ma in una vera e propria adesione al Padre.

La risurrezione dell'ultimo giorno avviene già ora e permette quell'adesione a Dio Padre che si manifesta nel Figlio.

Quindi non è negli sforzi degli uomini la salvezza, ma nella fede nel Padre che in Cristo si rivela.

Il popolo di Israele è chiamato a dare una linfa nuova al rapporto con Dio.

Davanti a questo contesto di incredulità Gesù non abbassa il livello, ma continua ad affermare di essere il Pane vivo disceso dal cielo.

Il rischio sempre dietro l'angolo è di scendere sempre di più per non perdere la popolarità. Non è lo stile di Gesù che non arretra di un millimetro e riafferma queste verità di fede proprio perché non è in cerca di apprezzamenti a tutti i costi.

Gesù prosegue; con la formula solenne «in verità, in verità vi dico» non si limita a dire di essere il «pane della vita», ma «il pane quello vivo», esprimendo più fortemente la personalizzazione del pane nella sua persona. Lui è il pane disceso dal cielo che dona la vita eterna, a differenza della manna mangiata nel deserto dai padri che non impediva la morte. E aggiunge: «il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Questa frase, secondo molti studiosi, è l'equivalente giovanneo della formula eucaristica di Lc 22,19 («Questo è il mio corpo che è dato per voi»). La carne indica primariamente l'umanità, la corporeità fisica (cf «il Verbo si fece carne» in Gv 1,14). Il verbo “donare” indica il sacrificio di Gesù, il dono della sua vita per noi. Gesù dona se stesso e ci dona la sua vita divina. E questa presenza reale, questo cibo vivo e vero, ci è donato nell'oggi nell'Eucaristia! Questo prepara lo sviluppo successivo del discorso eucaristico dove Gesù dice: «in verità, in verità vi dico: chi mangia il mio corpo e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Gv 6,53). Che mistero d'amore grande! La sua presenza nell'Eucaristia, farmaco dell'immortalità, che ci conduce e ci chiede di vivere in comunione con Lui. Le parole del Vangelo ci aiutano a comprendere che non si tratta solo di credere nella Parola di Gesù ma nella sua persona, in chi Lui è e in ciò che Lui dice, lasciandosi condurre da Lui, vivendo uniti a Lui. Che il Signore ci aiuti davvero a cogliere, vivere e non sciupare tanta bellezza!

Non è una meta per pochi eletti o un privilegio per qualche persona speciale. Si tratta invece della possibilità data a tutti di scoprirsi cari allo stesso Artigiano celeste. In Gesù Pane, infatti, in Gesù Eucaristia si realizza per ognuno di noi la profezia dell'Antico Testamento: lo Spirito prende casa nel cuore di ogni uomo, giovane o vecchio che sia, e la Terra Promessa si concretizza nella vita celeste accolta nella nostra interiorità come anticipo di Paradiso.

Mangiare la carne e il sangue di Cristo, non si riduce però al rito della Messa. Il corpo di Cristo non sta solo sull'altare, del suo Spirito è piena la terra, Dio si è vestito d'umanità, al punto che l'umanità intera è la carne di Dio. Infatti: quello che avete fatto a uno di questi l'avete fatto a me.

Le domande che ci dobbiamo porre sono più profonde di quelle che appaiono all'inizio del brano: noi di che cosa ci nutriamo? Di che cosa alimentiamo cuore e pensieri? Stiamo mangiando generosità, bellezza, profondità? O stiamo nutrendoci di superficialità, miopie, egoismi, intolleranze, insensatezze?

Dobbiamo stare attenti perché se facciamo nostri pensieri degradanti, come quelli di Cafarnao, questi ci riducono anche noi scadenti; al contrario se accogliamo pensieri di vangelo, di bontà e di bellezza essi ci fanno uomini e donne della vera bellezza.

 

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