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TESTO Facile o difficile?

padre Gian Franco Scarpitta   Chiesa Madonna della Salute Massa Lubrense

VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (19/02/2006)

Vangelo: Mc 2,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa 2e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.

3Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. 4Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. 5Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati».

6Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: 7«Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». 8E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? 9Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? 10Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, 11dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». 12Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».

Già a proposito della guarigione del lebbroso e di altre circostanze di infermità fisica, abbiamo riscontrato come la concezione giudaica dominante attribuisse alla malattia un legame con il peccato, nel senso che chi soffriva di un grosso disturbo si era certamente macchiato di una colpa grave, lui o qualcuno dei suoi progenitori. Questo concetto viene ribadito in modo lampante nel brano evangelico odierno, nel quale Gesù non soltanto opera una guarigione miracolosa ma non esita a mostrare la propria influenza categorica e determinante sul peccato; anzi il suo intento iniziale è proprio quello: assicurare al paralitico che d'ora in poi sarà risollevato e giustificato, perché libero da ogni compromesso con il più deleterio di tutti i mali che contaminano l'uomo, che è appunto la peccaminosità.

Ma in tutto questo racconto quello che più dovrebbe interessarci è la frase di domanda con cui Gesù coglie alla sprovvista i suoi avversari, cioè gli scribi presenti che obiettavano alla sua pretesa di estinguere il peccato: "Che cos'è più facile, dire al paralitico: 'Ti sono rimessi i tuoi peccati', o dirgli: 'Alzati, prendi il tuo lettuccio e vai a casa tua'?", un quesito talmente difficile che costituisce anche per noi serio motivo di riflessione. Probabilmente Gesù intendeva dire che in fondo favorire una guarigione fisica non è difficile, oppure che non comporta tante difficoltà come l'attribuire il perdono dei peccati a chi è infermo nello spirito: rimettere i peccati di una persona vuol dire conoscerla fino in fondo, aver scrutato le sue intenzioni, valutato attentamente il suo passato rapportandolo al presente, scrutare l'entità dei suoi sentimenti e avere cognizione delle cause reali e non apparenti del suo errore; comporta entrare nel cuore della persona stessa e valutare la consistenza del suo ravvedimento e della disponibilità alla riconciliazione e pertanto esige che si entri nella più assoluta delle sue profondità. Contrariamente a quanto noi possiamo immaginare, ogni persona costituisce un mistero ineffabile che gli altri, vedendo dall'esterno, possono solo accarezzare senza mai cogliere nel segno. Ecco perché è saggio e prudente che da parte nostra non si esternino giudizi né illazioni sugli altri (come altrove lo stesso Signore raccomanda): noi non saremo mai in grado di circoscrivere in pienezza la grande profondità di questo mistero e quindi non potremo mai indovinare il vero essere di una persona, le sue reali qualità, il suo agire e finalmente i motivi reali dei suoi eventuali errori. In altre parole, noi non saremo mai in grado di conoscere una persona nella sue profondità, né potremo mai carpire tutti gli aspetti e tantomeno la radice dei suoi sbagli e qualsiasi giudizio possiamo esprimere non corrisponderà mai a verità. Piuttosto, come in definuitiva afferma la Lettera di Giacomo, giudicare equivale a mettersi al posto di Dio pretendendo di saperne più di Lui su una determinata persona il che non può non essere per noi motivo di riprovazione.

Soltanto Dio è in grado di avere conoscenza piena dello spirito umano e, in generale della nostra persona, quindi solo Lui può perdonare i peccati; come del resto afferma anche il libro della Legge (Levitico) che gli scribi apportavano a loro giustificazione. E Gesù questo non lo smentisce, visto che afferma: "Ti sono rimessi i tuoi peccati"; quando infatti nella Scrittura viene riportata un'azione al passivo senza che venga specificato il complemento d'agente, quest'ultimo va identificato con Dio (Passivo divino) e tale è il caso della presente espressione: essa sottintende che tale azione di perdono è svolta da parte di Dio ("Ti sono rimessi i peccati (da Dio") tuttavia pone se stesso come estensore del perdono divino in quanto Figlio dell'Uomo, cioè Salvatore e Messia che ricopre le sue funzioni che gli scaturiscono dalla maestà divina. Come abbiamo fatto altre volte insistiamo col dire che egli ha autorità in quanto Verbo Icarnato, Dio egli medesimo e apportatore di salvezza e di novità. La prospettiva nella quale Gesù va visto è pertanto esulante dagli schemi abitudinari a cui era avvezzo il comune profetiamo dell'epoca giudaica, per il quale Gesù non poteva essere altri che un uomo comune: egli vuole che lo si guardi con fede, in modo tale da riscontrare in lui il Salvatore e il Redentore capace di vittoria definitiva sul male e sul peccato oltre che sulla guarigione fisica. Sicché Gesù non ha difficoltà a proferire le parole di monito con cui successivamente recupera il movimento degli arti a quel povero paralitico, poiché con esse pone l'avallo alla sua pretesa di essere dispensatore del perdono divino avendo egli il potere di vincere sui peccati in quanto Dio e Salvatore. Del resto, come avevamo osservato in precedenza, ogni malattia sanata da parte di Gesù è sempre accompagnata dalla vittoria sul male e sul demonio (vedi gli esorcismi) e la cura del malessere fisico non è tanto importante quanto quella della defezione spirituale. In questo Gesù manifesta in se stesso la novità liberatrice di cui faceva menzione (I Lettura) il Profeta Isaia, il rinnovamento globale di tutte le cose e la liberazione dal male e dal dominio del peccato secondo la metafora della strada che si apre nel deserto e nella desolazione dell'uomo; di fronte a Gesù si coglie così il "novum" del Regno di Dio e a nostra volta non possiamo non vedere noi stessi rinnovati perché chiamati a libertà e novità di vita, secondo lo spirito non già della frustrazione e della sottomissione ma nella logica della gioia e della fiducia. Se Cristo ha il potere di rimettere dai peccati e lo ha fatto in modo spontaneo e disinvolto affermando la legittimità delle sue affermazioni, avviene oggi che Egli continua a dispensare il suo perdono egli medesimo anche se nella persona visibile di ministtri peccatori e limitati qauli possono essere i sacerdoti, affinché ci venga offerto un orientamento concreto attraverso una semantica semplice e comprensibile con la quale egli stesso si dispone a dialogare con i suoi fratelli penitenti. Perché oggi non sempre si è soliti riporre fiduicia nel Signore che opera in modo certo anche se invisibile in un modo del tutto speciale? Perché insomma molto spesso si accampano pretesti per non avvicinarci al Sacramento della Riconciliazione?

probabilmente perché da parte nostra si è soliti considerare la contingenza immediata del sacerdote che si erge a giudice severo dei nostri errori, e siamo ancora ben lungi dall'acquisire estrema fiduicia e apertura filiale e franca verso Colui che nel Sacramento ci invita in modo amichevole a riconoscere le nostre debolezze, confessare con coraggio i nostri peccati per ottenere il perdono che è cosa certa quando ci si dispone alla contrizione e al proposito di cambiare vita. Al confessionale non si deve restare imbarazzati né impacciati dalla presenza del sacerdote considerando che al di là del ministro vi è sempre lo stesso Signore Gesù disposto a riammetterci nella comunione con sé; occorre piuttosto ammettere il proprio peccato e aprirsi alla confessione con fiducia e apertura nella certezza di essere sostenuti dallo steso Signore e incoraggiati a cercare quello che in fondo è il nostro obiettivo di gioia e serenità nel perdono del Signore.

 

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