TESTO E tu, che terreno sei?
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
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XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (16/06/2024)
Vangelo: Mc 4,26-34
26Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
30Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
Quella delle piantagioni è una delle tante metafore con cui si tende a descrivere l'intervento di Dio nella vita dell'uomo, con un particolare procedimento che parte dalla piccolezza, segue un percorso evolutivo di crescita graduale e raggiunge un obiettivo di grandezza o di prosperità. In parole povere Dio nei suoi interventi nella storia e nella realtà comincia dalle minuscole cose per realizzare un po' alla volta grandi progetti, con grandi risultati. Ciò che sembra insignificante e ridicolo agli occhi di Dio è grande e tale si rivela alla fine anche per l'uomo. Ciò che noi consideriamo deprezzabile alla fine si mostra significativo e importante; ciò che sa di umiltà e di deferenza, si rivela maestoso per tutti. Dio non irrompe nella nostra storia e non fa violenza a nessuno. Non si impone con la coercizione e con la tirannia. Piuttosto, Dio semina, coltiva, provvede che cresca ciò che è stato seminato e finalmente produce e rende maestoso.
E' cosi che viene descritto l'intervento di Dio a favore de popolo d'Israele, nella prima Lettura tratta dal libro di Ezechiele. Il brano fa seguito ad altre due parabole allusive ad un'aquila che coglie un germoglio da un albero di cedro; questo viene piantato e poi diventa vitigno, che si concede però a un'altra aquila differente da quella da cui aveva tratto origine.
Ora il profeta descrive come Dio, da un piccolo germoglio di cedro, fa sorgere un grosso albero che si impone a tutte le altre piantagioni del giardino, dominandole e torreggiando su di esse. La metafora vuole solo descrivere quanto Dio sia fedele nei confronti del suo popolo e quanto egli sia capace di seminare per raccogliere e per edificare, mentre altri in precedenza hanno solo distrutto e disperso. Da un piccolo germoglio Dio fa crescere una sontuosa e imponente piantagione che ha ragione di tutte le altre; così da semplici progetti, personaggi, elementi, è proprio del Signore ricavare grandi risultati che siano in grado di incidere positivamente sulla storia umana. Solo Dio può “rovesciare i potenti dai troni e innalzare gli umili” soltanto chi, come Maria, si umilia come “serva” può godere in futuro di essere denominata “beata” e grande (Lc 1).
Questa è anche la realtà del Regno di Dio che è presente nelle parole e nelle opere del Figlio Gesù Cristo Signore: Dio immette nel terreno un piccolo seme che, col favore della terra e del sole e dei venti prosperosi, cresce, si sviluppa e si costituisce in tantissime spighe, ciascuna delle quali reca grossi chicchi. Ciò che sorprende è che il seme cresce e germoglia “spontaneamente” (automata in greco), ossia senza che l'uomo intervenga. Certo, si suppone che chiunque sia stato a gettare la semente abbia poi cura del terreno in cui è sparsa e provveda a liberarlo dalle erbacce e da quanto possa ostacolare la crescita del buon frutto. Ciononostante, il piccolo elemento che si è disperso fra le zolle della terra si sviluppa in modo sopito, occultato, silente eppure produttivo. Senza che l'agricoltore sappia come questo possa avvenire a meno che non sia un esperto odierno di agronomia. L'agricoltore fondamentalmente si affida al terreno, aspettandosi che esso spontaneamente gli restituisca il seme nella forma molto più che centuplicata. Una semente piccolissima può essere capace di produrre tantissimo anche in modo da sfamare un intero popolo. Un granello di senapa appare ridicolo agli occhi di tutti; il solo parlarne desta sorrisi e considerazioni di banalità. Addirittura esso è non solamente un piccolo elemento, ma il “più piccolo di tutti i semi”, cioè rispetto agli altri elementi atti alla coltivazione è assai minuscolo e irrilevante. Eppure proprio quello può tramutarsi un po' alla volta in una piantagione imponente i cui rami frondosi sono capaci di ospitare i nidi di uccelli.
In tutto questo quale ruolo o posizione assume l'uomo? La risposta la troviamo nella qualità del terreno: esso può essere fertile e produttivo ma anche arido e recalcitrante. Può venire arato e bonificato per la semina oppure abbandonato a se stesso. L'animo umano è il “terreno” che siamo chiamati ad adattare alla qualità del seme che Dio vi getta. Sta all'uomo corrispondere alla coltura del grano o delle piante frondose, vale a dire all'accoglienza della realtà del Regno che Dio dissemina nel mondo con le parole e con le opere di Gesù suo Figlio.
. Il Regno di Dio, proprio come le piante e il grano nei campi, cresce nel silenzio ed è una realtà misteriosa ma non per questo avulsa e distaccata dalla nostra realtà. Dio semina, fa crescere e conduce a maturazione, ma non s'impone all'uomo: rispetta la sua libertà di collaborare o meno alla crescita di questo seme. E questo è anche il motivo per cui Gesù parla ad alcuni in parabole mentre ai suoi discepoli spiega ogni cosa: perché Lui è la presenza definitiva di Dio, il Regno vero e proprio che si è realizzato nell'incarnazione, la realtà innovativa che Dio è venuto ad apportare nella storia. Tuttavia spetta all'uomo aderire con coraggio alla realtà del Regno, adoperandosi affinché questa prenda corpo e si sviluppi, come farebbe un bracciante agricolo o un agricoltore premuroso. La prima caratteristica del nostro “terreno” non può che essere quella dell'umiltà, la prima fra tutte le condizioni perché si porti copioso frutto. Nella buona disposizione a non vantare oltremisura noi stessi risiede la possibilità dell'accoglienza della Parola che Dio vuole ingenerare in noi. La Parola che viene accolta nella fede che deriva appunto dall'umiltà e per ciò stesso anche dalla conversione, ovvero dal distacco dalle vanità per un orientamento secondo Dio, Da tutto questo scaturisce la speranza, la carità, la gioia e tutti i frutti edificanti che il padrone della vigna o del terreno verrà a rilevare al tempo della mietitura. Quasimodo diceva che l'uomo tende a “uccidere i morti” ma dovrebbe essere capace di udirli per non perire egli stesso. Essi “non fanno più rumore del crescere dell'erba lieta dove non passa l'uomo”; ad intendere che da sempre l'uomo tende a distruggere e a sopprimere al punto che l'erba e la natura si rallegrano quando lui sia assente. Si riferiva agli orrori della guerra che infatti destabilizzano e screditano l'uomo, che non è in grado di vivere realmente e uccide anche se stesso qualora voglia ancora sterminare i morti.
Perché invece nel nostro terreno non si verifica il “crescere dell'erba” silenziosa della vita che scredita la morte? Solo nella fede e nell'accoglienza del Regno di Dio potremmo edificare il mondo, appunto nel silenzio, non da morti ma da vivi in Colui che vive per sempre. Occorre che bonifichiamo in noi stessi il terreno della vita e della speranza perché il grano cresca rigoglioso e si sviluppi a beneficio di tutti coloro ai quali esso è donato.