TESTO Commento su Gv 7,37-39
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Sabato della VII settimana di Pasqua (18/05/2024)
Vangelo: Gv 21,20-25
20Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». 21Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». 22Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». 23Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».
24Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. 25Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.
Questo vangelo è un grido, un appello urgente di Gesù. Molti confessano di sentirsi come “un vulcano spento”. Anche noi tante volte ci troviamo in un deserto, ci sentiamo aridi. Gesù vuole irrigare tutta la nostra vita con lo Spirito Santo. Il progetto di Dio su di noi è lo Spirito; e lo Spirito è dentro di noi. Il dono dello Spirito è molto particolare perché non è separabile dal donatore, da Gesù, che è dentro di noi. Lo scopo del nostro percorso è imparare ad ascoltare la voce di Gesù dentro di noi. Per questo è importante la preghiera in silenzio, davanti a Gesù. Anche noi dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo parlare con lui. La verità nasce proprio da questo dialogo tra Gesù che ci parla e noi che gli parliamo. Gesù dice che sgorgheranno “fiumi di acqua viva”. Dal costato di Gesù crocifisso e trafitto dalla lancia escono sangue e acqua: sono questi i fiumi di acqua viva. È molto importante che questi fiumi di acqua viva escano da una ferita. Noi abbiamo paura delle ferite, di essere feriti, ma queste sofferenze sono la finestra attraverso la quale passa l'amore e dunque non dobbiamo temere le ferite della vita. L'amore esce da quest'uomo che dà la vita, dalla sua ferita. Impariamo anche noi a far uscire l'amore dalle nostre ferite. Gesù dice che c'è una condizione sola perché tutto questo accada: “CHI HA SETE”. Perché tutto questo avvenga bisogna fare una cosa molto semplice: avere sete. S. Agostino ha detto che la fede è desiderio. L'amore ha sempre fame e sete. Sarebbe molto bello se noi avessimo sempre fame e sete di Dio; allora sarebbe sempre Pentecoste.
Signore ti preghiamo perché la nostra sete di santità si trasformi in un impegno concreto nel mondo in cui siamo chiamati a vivere da cristiani e a dare testimonianza del tuo amore.
La voce di un padre della Chiesa
“Fratelli carissimi, ascoltate attentamente. Vi parlerò della inesauribile sorgente divina. Però, per quanto sembri paradossale, vi dirò: Non estinguete mai la vostra sete. Così potrete continuare a bere alla sorgente della vita, senza smettere mai di desiderarla. È la stessa sorgente, la fontana dell'acqua viva che vi chiama a sé e vi dice: «Chi ha sete venga a me e beva» (Gv 7,37).”
San Colombano monaco
Sr Gisella Serra FMA - gisel.serra@gmail.com