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Paolo Curtaz  

Ascensione del Signore (Anno B) (12/05/2024)

Vangelo: Mc 16,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 16,15-20

15E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.

20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Parla con noi il Signore.

È ormai una voce.

Il suo corpo di risorto, segnato dalle ferite della croce, torna presso il Padre.

Ma la sua presenza resta. In altro modo, certo, forse nel modo che non avremmo voluto, che ci spinge alla fede. Fidarci di una voce, che salto mortale. Ma una voce che riecheggia potente nelle nostre anime, che ci spinge oltre, che ci obbliga ad aprirci all'ascolto della nostra anima.

È l'inizio di un percorso, suo e nostro. Di un cammino iniziato da tanto e che non avrà fine.

«L'Ascensione non è un percorso cosmico ma è la navigazione del cuore che ti conduce dalla chiusura in te all'amore che abbraccia l'universo» (Benedetto XVI).

L'ascensione non è un addio, ma un cambio di frequenza. Più alto, più profondo.

E quella voce parla a me, come agli apostoli. Andate!

Il tempo della Chiesa

Sono rimasti in undici. E sono spaesati e dubbiosi. Ma lo amano. Lo amano follemente, lo amano perché si sono scoperti amati. Non sono capaci, non scherziamo. Hanno tradito, rinnegato, sono scappati. Ma lo amano. E questo basta.

Andate ad annunciare.

Non ha detto: andate a conquistare, ad assumere controllo e potere, a costruire grandi complessi per la pastorale. Ma: andate ad annunciare.

Tocca a noi, ora.

Non chiedetemi il perché o se sia stata una scelta intelligente: affidare alle nostre fragili mani la più grande notizia della Storia. Chiedere alle nostre vite incoerenti e zoppicanti di manifestare il vero volto di Dio. Chiedere alla Chiesa che siamo, in questo tempo di mezzo fra la sua venuta e il suo ritorno, di costruire pezzi di Regno in mezzo alle nostre città sbiadite e affannate. Chiedere a noi, stanchi e sfiduciati come tutti, segnati da rughe profonde in questo tempo di guerre e fragilità, in un futuro senza orizzonte, di incoraggiare e invitare ad alzare lo sguardo, a superare quella nube che ci impedisce di vedere (Atti 1,10).

Tant'è.

Oggi festeggiamo il passaggio alla maggiore età della Chiesa.

Non ce la possiamo fare, avete perfettamente ragione.

Tenero illuso, il nostro Signore. Sappiamo bene quali e quante incoerenze abitino i nostri cuori. Non ce la faremo mai, travolti dagli scandali, inchiodati alle nostre lentezze.

Non siamo trasparenza ma muro. A meno che.

Insieme con loro

Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Il risorto è con noi, agisce insieme con noi, conferma il nostro annuncio fatto di Parola e di segni. Non siamo noi ad essere credibili, ma lui. Non siamo noi capaci, ma lo Spirito che cavalca le nostre parole riempiendole di Dio.

Se lo lasciamo agire, se non ci arroghiamo il diritto di sapere, di orientare, di sapere, possiamo annunciare.

Nonostante noi, nonostante i nostri limiti, Dio agisce attraverso di noi.

Come rifletterà altrove san Paolo: nella nostra debolezza emerge chiara l'azione di Dio. Se siamo così piccini, ma senza sederci sui nostri limiti, senza cadere nella sciatteria, e la Parola avanza è perché evidentemente non è frutto delle nostre azioni.

Lasciamoci fare, lasciamoci agire, restiamo innestati al tralcio per portare frutto, amiamoci dell'amore con cui siamo amati.

Lui al centro, non noi, non le nostre belle e sante intuizioni.

Lui, il per-sempre-presente.

Allora, come scrive Paolo, facciamo memoria di questa chiamata, di questo compito, della nostra missione di vita: dire di Dio, raccontare, a volte anche con le parole, quanto ci siamo scoperti accolti ed amati da un Dio di compassione e misericordia.

Nonostante

No, certo, non è semplice. Anche gli apostoli (gli apostoli!), faticano e dubitano proprio nel momento in cui il Signore affida loro il compito dell'annuncio (Mt 28,17).

Perché, come noi, capiscono che dobbiamo smetterla di guardare in cielo per aspettare una soluzione, ma agire sulla terra con il cuore orientato all'altrove.

Esiste la fatica, non scherziamo.

È un'attesa lunga e la sensazione, talora, di tirare i remi in barca, soprattutto in un momento in cui sperimentiamo l'indifferenza o la stanchezza fra i popoli che, come il nostro, sono cresciuti a pane e Vangelo, è ampiamente diffusa.

Eppure, se oggi lasciamo emergere in noi la gioia dello Spirito, anche noi possiamo testimoniare i segno che accompagnano coloro che credono.

Nel mio nome scacceranno demoni, cioè le paure, le ombre che ci abitano, la violenza e il caos che debordano la nostra società, l'aggressività che cogliamo crescente intorno a noi.

Parleranno lingue nuove, un linguaggio di solidarietà, di affetto, di amore, di condivisione di rispetto della diversità, di logica evangelica.

Prenderanno in mano serpenti, senza paura di abitare le contraddizioni, di dimorare nella città degli uomini, di affrontare il male brandendo in mano solo il Vangelo vissuto con disarmante verità.

Se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, veleno delle maldicenze, dei giudizi, delle offese, delle incomprensioni.

Imporranno le mani ai malati e questi guariranno, perché il Vangelo ci guarisce da ogni ferita interiore, da ogni cratere, da ogni ombra.

L'ho visto, in me e intorno a me.

È ora di obbedire al Maestro.

È ora di partire.

Di lasciarci amare, di scegliere di amare.

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